Migranti e trattato di Dublino: due testi di riforma presentati da Commissione e Parlamento europeo

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Finalmente sarebbero pronte le modifiche al trattato di Dublino. Le quote saranno stabilite anche in base al Pil e ci saranno forti sanzioni dissuasive, come la perdita di una parte dei fondi Ue, la possibilità per il migrante di scegliere tra quattro Stati la sua destinazione finale, la ripartizione per quote in base alla popolazione. Ma la proposta trova, come sempre, l’opposizione dei Paesi del patto di Visegrad.

Sono due le posizioni intorno alle quali si sta svolgendo il confronto all’interno dell’Unione: quella proposta dalla Libe, la Commissione del Parlamento europeo competente su Libertà civili, giustizia e affari interni, e quella della Commissione Ue.

Il testo, approvato dal Parlamento a novembre del 2017, è il più innovativo. Mira ad abbandonare il criterio dello stato di primo ingresso, suddividendo i richiedenti asilo tra tutti i paesi membri, in base a un sistema permanente di quote. Vale il principio di solidarietà ed equa ripartizione della responsabilità imposto dall’articolo 80 del Trattato sul funzionamento della Ue in materia di migrazione. Che non vuol dire solo un vantaggio finanziario per gli stati che accolgono, ma anche un vero e proprio sostegno, quello che l’Italia chiede da tempo. In termini pratici, il migrante che arriva in Europa viene registrato e, nel caso in cui presenti richiesta di protezione internazionale, avrà una prima sommaria valutazione sulla ammissibilità da parte dello stato ricevente. Qualora la risposta sia favorevole, se il richiedente asilo ha un legame rilevante altrove nella Ue, verrà trasferito lì. E sarà quello il paese che esaminerà la sua domanda di asilo. Per legame rilevante si intendono i rapporti parentali. Il Parlamento ha ampliato il concetto di famiglia, che comprenderà tutti i figli minori, anche se sposati, i fratelli e i figli maggiorenni ancora a carico.

Inoltre varrà il principio culturale o di soggiorno precedente: se un migrante ha conseguito un diploma accademico o professionale, oppure se ha già soggiornato legalmente in uno stato membro, rientrerà nella categoria. Una facilitazione individuata proprio per agevolare l’integrazione e la conservazione di legami costruiti. È previsto anche che fino a 30 persone possano chiedere di spostarsi insieme. Sebbene il gruppo non potrà scegliere in quale stato stabilirsi. Qualora non ci fossero parentele o legami, il richiedente asilo potrà indicare la sua destinazione da una lista di quattro stati: paesi con il numero più basso di richiedenti rispetto alla propria quota, e che cambieranno di volta in volta, in base all’accoglienza attuata. I costi dei trasferimenti saranno a carico del bilancio Ue. C’è, però, un limite e si verificherà nel caso in cui la domanda di protezione abbia probabilità molto scarse di essere accolta. Nel caso in cui si verificasse questa ipotesi, il migrante rimarrà nello stato di primo ingresso, e sarà quello a decidere sull’asilo.

Diversa la proposta della Commissione Ue, che prevede un aiuto degli altri stati solo nel caso in cui la pressione sul paese di primo ingresso raggiunga una soglia insostenibile (il 150 per cento di una quota stabilita in base a pil e popolazione). Solo in quel caso scatterà un meccanismo d’emergenza. Su un punto le due linee di riforma sembrano trovare un accordo: sulla necessità di intervenire nei confronti degli stati che non rispettino le condizioni. Entrambe le proposte di riforma prevedono che chi non rispetti le regole imposte da Dublino venga punito con un meccanismo sanzionatorio-dissuasivo, oppure con una importante riduzione dei fondi Ue. La Commissione propone di far pagare 250 mila euro a migrante non ricollocato sul territorio. Questo, però, potrebbe far decidere ai paesi più resistenti, come quelli del patto di Visegrad, di selezionare in base all’etnia o alla religione.

Arrivare ad approvare Dublino IV con una posizione che riequilibri il principio di solidarietà tra stati non sembra un lavoro facile. I paesi come quelli del patto di Visegrad. ne è un esempio la rielezione di Orban in Ungheria, hanno sviluppato il loro consenso politico proprio sulla resistenza all’invasione migratoria. E in attesa che il Consiglio dell’Unione europea passi in esame le novità, Cecilia Wikstrom, relatrice della proposta del Parlamento, ricorda che «nulla nei trattati obbliga gli stati a decidere all’unanimità», e che gli eventuali contrasti potranno essere superati da un voto a maggioranza qualificata.

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