L’insostenibile leggerezza delle liberalizzazioni

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Nota di Massimo Biagioni, Direttore Confesercenti Toscana

La leggerezza con cui certi enti stanno affrontando le questioni delle regole e della presunta liberalizzazione nel settore del commercio e del turismo in particolare, è preoccupante.

Come se non fosse ormai finita l’era della crescita illimitata, dell’idea di un’espansione senza limiti, del liberismo sfrenato – che ha trovato nel Governo Monti il massimo divulgatore – capace di trainare clamorosi numeri positivi. Finita l’epoca in cui i Comuni facevano il bilancio con gli oneri di urbanizzazione derivati dagli insediamenti dei colossi, segando senza sosta il ramo su cui erano seduti.

Tramontata l’epoca degli “iper”, ridotti in numero e in spazi, dopo la grande abbuffata. Fino alle estreme conseguenze: oggi ogni nuova apertura di grande distribuzione provoca crisi e chiusure o riduzione degli spazi di altra grande distribuzione.

Ci sono i casi con nomi e cognomi, ed è una lista che si allunga. E non è mai una buona notizia; ogni impresa che chiude lascia dietro se dipendenti in credito, merce da pagare, banche in rosso, fornitori e erario che avanzano qualcosa e quant’altro nel caso.

A un po’ di anni dalle pseudo “lenzuolate” e dall’introduzione di massicce quote di liberalizzazione che avrebbero dovuto trainare l’occupazione e lo sviluppo, possiamo fare un bilancio quanto mai con poche luci e molte ombre. I grandi centri commerciali hanno peggiorato di molto la qualità dei nostri paesi, è venuta meno una funzione naturale di socializzazione che la rete del commercio ha da sempre assicurato, sono aumentati i problemi di sicurezza – e oggi abbiamo il problema di investire per la tranquillità compromessa di cittadini e imprese – le luci sono sempre meno accese e sempre più spente, il turn over di chi apre e chiude sempre più frequente, il servizio fornito, giovani e anziani inclusi, è stato drasticamente ridotto, i consumi si sono spostati nelle periferie se non sulle grandi arterie di scorrimento, creando, spesso, intralci al traffico.

Siamo sicuri che questa rete rappresentata dal commercio di vicinato non valesse nulla?

Sui centri storici l’effetto di questi fenomeni, uniti a quelli del turismo, sta producendo tanti “mangimifici” e “alloggiamenti” che si fanno largo espellendo dai nuclei storici la residenza.  Anziani e giovani, per scelta e per necessità non possono trovare appartamenti a affitti ragionevoli, dato che il moltiplicatore del turismo ha fatto esplodere le cifre. Un centro senza la residenza significa lo stravolgimento della qualità della vita: non hai più bisogno di barbieri, di mercerie, di negozi di giocattoli, di dischi, edicole, macellerie, per dire. Ma luoghi dove mangi, bevi, compri abbigliamento-souvenir e amena paccottiglia da esibire a casa al ritorno.

E sempre stando ai centri storici alla lunga reggeranno le principali mete, da Firenze a San Gimignano, da Volterra a Siena, per fare solo alcuni esempi, in aspro contrasto con i residenti rimasti, ormai privi di negozi dove comprare intimo. Sempre per dire. Il Sindaco di Firenze recentemente ha fatto un esempio per il centro storico di Firenze, dove in un solo km si contano 217 esercizi che hanno attinenza con il mangiare.

Il tema turismo è il gatto che si morde la coda. L’immagine della Toscana e del contenuto del territorio è ormai un brand acquisito nel mondo. Con l’accoppiata Toscana-Firenze che si alimenta reciprocamente e reciprocamente porta valore aggiunto (cosa che non succede con il Lazio per Roma o per la Catalogna per Barcellona). E’ fatto di arte e cultura, dell’enogastronomia e dell’artigianato di qualità, di valori ambientali e architettonici. Ma anche di gusto, qualità della vita, quotidianità dei borghi, il saper vivere che tutti ci invidiano. Distruggendo o desertificando i paesi e i borghi e le loro peculiarità, a partire dai tempi di vita, si ledono parti di quelle caratteristiche che ci hanno imposto all’attenzione di tutti i potenziali turisti del mondo.

Che poi se i Sindaci fanno due conti, è sicuro che quanto introitano dalla tassa di soggiorno faccia pari con la perdita di valore delle botteghe, del minor introito di tasse, del calo del valore del nucleo abitato?

Affittacamere, alloggi e B&B devono essere compresi nella loro dimensione effettiva, non rimanere ancorati a concetti del passato in cui quel tipo di alloggio significava un livello economico basso pur se dignitoso. Alcuni appartamenti in certi palazzi fanno concorrenza agli alberghi di alta gamma. Per l’esperienza particolare che offrono, per il contatto con la quotidianità della vita dei residenti (finché ci sarà) che può far vivere giorni particolari, per sentirsi per qualche giorno abitante di un luogo di grande impatto emotivo.

Dopo la distruzione del commercio alimentare e non alimentare (con una enorme perdita di posti di lavoro in confronto a quello creato dalle grandi strutture), dopo la distruzione della rete dell’abbigliamento grazie agli outlet e al trattamento di favore rispetto alle regole che gli altri sono costretti a rispettare, oggi ci stiamo dando da fare per sottoporre le imprese del turismo allo stesso trattamento.

Questo si evince dal complesso di non-norme che stanno venendo fuori. In primis l’incessante opera della cosiddetta Antitrust che in realtà lavora da anni per i trust a favore dei grandi e contro i piccoli. Poi con le regole diverse per l’agriturismo, gli alloggi da affittare a dismisura, le finte sagre (si parla di milioni di pasti forniti in capo a un anno) o home restaurant senza controlli e senza possibilità di verifiche, salvo la militarizzazione del territorio con un agente di guardia a ogni edificio, gli alberghi diffusi, le guide turistiche aggredite da colleghi di mezza Europa con un tesserino ma senza la necessaria professionalità. Per non dire dell’abusivismo, che per quanto attiene alle agenzie viaggi ha già sfondato da tempo il limite della decenza.

E già che sul ricettivo e sulla ristorazione da anni pesa come una pietra al collo l’intermediazione gestita sul web da grandi colossi (che peraltro portano fuori dall’Italia una montagna di soldi (dal 20 al 30% del giro d’affari) senza pagare nulla al paese dove questi soldi sono rastrellati) che mettono le imprese in condizioni di non poter effettuare investimenti adeguati alla richiesta del mercato, sia nell’ammodernamento strutturale che tecnologico che sul piano promozionale.

Tutti sembrano interessati ad aggredire la massa di risorse create dal turismo e a prenderne pezzi con le buone o con le cattive, utilizzando ogni anfratto delle leggi.

Regole uguali per tutti.

Si evade con gli alloggi? Possano farlo allora anche gli albergatori. Si evitano strumenti per le condizioni dell’igienico-sanitario? Possano farlo anche i ristoranti. Le sagre contano su personale volontario assai poco professionali? Anche ai ristoratori sia consentito. E analogamente per tutti i punti di concorrenza sleale.

Spostamento fuori dal centro delle funzioni, scuola, università, pretura o uffici giudiziari, ecc

 

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