Crisi energetica, il Giappone scopre fonti rinnovabili alternative. L’Europa resta al palo

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Se la vecchia Europa di von der Leyen, Macron, Scholz e Draghi, sta penando per superare la crisi energetica, vista la carenza di fonti rinnovabili, anche n Giappone la quantità di energia solare ed eolica che si può ottenere attraverso le risorse naturali non è sufficiente a soddisfare la domanda del Paese.

I giapponesi dunque da qualche tempo si sono posti il problema di trovare altre fonti rinnovabili per ridurre le emissioni di CO2. In tal senso hanno scoperto quanto sia interessante sfruttare le possibilità offerte dall’energia oceanica, che sono maggiori rispetto ad altri Paesi.

In Italia abbiamo a disposizione l’energia del Mediterraneo, che serve solo a farci arrivare caterve di clandestini dall’Africa.

Ken Takagi, professore di politica della tecnologia oceanica all’Università di Tokyo, ha spiegato a Bloomberg: “In Giappone le correnti oceaniche hanno un vantaggio in termini di accessibilità”. Aggiungendo: “L’energia eolica è geograficamente più adatta all’Europa, che è esposta ai venti e si trova a latitudini più elevate”.

E’ così che la società IHI Corp, specializzata in prodotti meccanici, ha lanciato un nuovo modello di turbina oceanica che sarà alimentata dalla corrente marina di Kuroshio. Conosciuta anche come “fiume nero” è una delle correnti marine più forti al mondo e grazie ad essa la turbina potrebbe generare energia sufficiente per rifornire costantemente il Paese.

Lo sforzo del Giappone per trovare alternative energetiche sostenibili si concentra anche su altri fronti, come la conversione dell’energia termica oceanica (OTEC) mediante la quale la differenza di temperatura tra la superficie e il fondo dell’oceano viene utilizzata per generare energia.

Sono tutte iniziative che potrebbero essere perfezionate e adattate dall’Unione Europea, se questa istituzione fosse condotta da persone lungimiranti. Riteniamo infatti che un metodo come quello giapponese potrebbe essere utilizzato, dopo studi appropriati, anche dai Paesi Ue, con uno sforzo e un’organizzazione comune.

Ma per ora i 27 Paesi comunitari non sono riusciti nemmeno a mettersi d’accordo sulle importazioni di gas e di petrolio per sostituire quello russo e possibili soluzioni alternative concordate sembrano di là da venire. Ma non è certo una novità l’inefficienza delle istituzioni europee, soprattutto quelle che abbiamo conosciuto dopo gli eccessivi allargamenti.

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