Resistenza Ucraina: trincee con le reti fatte in casa. E sui tank le donne sono più brave degli uomini

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Non è vero che la guerra fosse stata preparata da tempo. Gli ucraini sono diventati soldati in poche settimane, per amor di patria. Ci sono migliaia di testimonianze che lo attestano: chi si è improvisato combattente per fermare l’avanzata della potente Armata Rossa, ha preso conoscenza con le armi solo quindici giorni prima di calarsi in un metro di fossato per essere pronto ad accogliere nelle narici la puzza di polvere da sparo e l’aria gelida, portando in tasca la corda da preghiera o il santino dell’eroe, Stepan Bandera. I soldati della prima linea, in ogni villaggio, sono cuochi, autisti, impiegati. E non mancano madri di famiglia, studenti, motociclisti. Tutti hanno un ruolo, con specifici turni: dalla cucina dei pasti passando per chi imbraccia i kalashnikov, fino alle tessitrici di reti per le trincee.

VIETATO AI MINORI – Le regole ferree sono due: "No alcol e no minorenni". Un veterano, già appartenente ai servizi segreti, si è preso l’incarico di spiegare a tutti, e soprattutto ai giornalisti occidentali, che si tratta di una macchina difensiva ben oliata. Aggiunge: "Tutti si offrono per dare una mano e arrivano tanti ragazzi, anche quindicenni, presi dalla smania di uccidere i russi. Ma li rimandiamo indietro: possiamo arruolare solo adulti". La necessità della guerra ha ristretto i tempi di leva a una quindicina di giorni: "Non possiamo andare sul sottile, serve gente che imbracci fucili. Ovviamente si tratta del primo livello, sono volontari della difesa del territorio locale, poi si sale al secondo, quello regionale e infine a quello nazionale. Il tuo ruolo dipende dall’arma che ti viene assegnata, anche noi abbiamo le nostre divisioni, come artiglieria e fanteria". E per dimostrare il coinvolgimento di tutta la gente del posto, mostra le reti mimetiche utilizzate sulle trincee: "Le hanno fatte le nostre mogli per noi, sono ritagli di vestiti annodati". Un’insolita tessitura di guerra sostenuta dalla virtù della pazienza in appartamenti e scantinati dei laboratori di sartoria.

TANK E PEPERONI – Le donne sono anche tra le più brave a guidare i tank, assicurano tutti. Poi c’è la vita lungo le trincee, scavate in fretta all’entrata dei villaggi, dove una volta scesi dalla scaletta di legno i turni tra le massicciate, 24 ore su 24, durano un’intera settimana e le unghie diventano nere. Ci si alterna alle postazioni e si fanno turni di sentinella. In una piccola coperta scavata nel terreno si dorme vestiti su materassini striminziti che rivestono le grezze brandine di legno, così come le traverse, che fanno da pavimento ovunque. Dentro e fuori, su alcune mensole, sono sistemati barattoli di vetro che contengono cipolle, peperoni e altri alimenti sottolio fatti in casa. Arriva anche cibo preparato tutti i giorni e c’è la legna per i falò.

MEDICI – Tra i volontari non ci sono medici, tutti impegnati negli ospedali, e chi viene soccorso viene portato direttamente all’interno del villaggio. In questi giorni sono in pochi a imbracciare i kalashnikov perché per fortuna "al momento qui il nemico non si vede". Fango e neve non rappresentano un problema dietro la terrapiena, c’è anche chi dietro i sacchi passa il tempo guardando video al cellulare, fumando, leggendo libri o raccogliendo i bossoli. Si tratta di una resistenza che di militare ha soprattutto le divise: con lo stemma coperto fornite dall’esercito, condita di improvvisazione e buona volontà. Qualcuno si diverte perfino a scimmiottare quelli del battaglione Azov. Ma parlano tutti di Olena, che a 46 anni ha deciso di scendere in trincea per stare vicina a suo figlio. Lo diceva il mio babbo, diventato partigiano dopo l’8 settembre del ’43, ma credo sia vero in assoluto: spesso la guerra la combatte soprattutto chi ne farebbe volentieri a meno.

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Sandro Bennucci

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