Magistratura democratica difende le toghe rosse dagli attacchi politici, ma non critica alcuni atteggiamenti inqualificabili

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Dice un proverbio: «Excusatio non petita, accusatio manifesta», scuse non richieste sono un’accusa manifesta. Così appare la dura presa di posizione di Magistratura Democratica contro le critiche politiche dei provvedimenti adottati da alcuni magistrati. L’esecutivo nazionale di Md, in una nota, osserva: «Sempre più di frequente, provvedimenti resi da magistrati italiani nell’esercizio autonomo del potere giurisdizionale sono soggetti a critiche che non riguardano (come sarebbe possibile ed, anzi, doveroso) il contenuto tecnico giuridico di quei provvedimenti, ma ne sostengono, apoditticamente, la natura politica. Come spesso è avvenuto anche in passato, per sostenere questa tesi si afferma che i magistrati che li hanno adottati sarebbero iscritti a Magistratura Democratica. A chi fa queste affermazioni non importa che siano vere, esse muovono infatti dalla premessa che Md avrebbe tra i propri obiettivi quello di fare uso della giurisdizione a fini politici».
Md respinge «con sdegno questa accusa, che riteniamo infamante per il gruppo e per coloro che vi sono iscritti. Magistratura Democratica promuove ed apprezza ogni interpretazione delle leggi che tenga conto della gerarchia di valori espressa dalla Carta Costituzionale e sia conforme ai principi in essa contenuti. Di conseguenza presta ossequio al principio della separazione tra i poteri dello Stato, che sono tenuti al reciproco rispetto. Rivendica il pieno diritto dei magistrati, sia come singoli che come gruppi associati, di esprimere le proprie opinioni, qualificate dalla conoscenza del diritto e dalla professionalità acquisita, fermo restando il doveroso riserbo imposto a ciascuno con riguardo a procedimenti in corso dei quali sia investito nell’esercizio delle proprie funzioni».
Per Md «sostenere che un magistrato, iscritto o non iscritto a Magistratura Democratica, ha adottato un provvedimento per perseguire finalità diverse da quelle proprie dell’esercizio della giurisdizione è accusa grave e infamante che non può, dunque, essere tollerata. È gravissimo che su quotidiani on line, incredibilmente ripresi da testate nazionali, sia stato pubblicato (con nomi cognomi e qualifiche professionali) un elenco di oltre 6.000 magistrati che prestano servizio presso gli uffici giudiziari italiani i quali sarebbero, incredibilmente, tutti iscritti a Magistratura Democratica. Un elenco che è stato ottenuto in palese violazione delle norme in materia di privacy, la cui pubblicazione ha una chiara valenza intimidatoria nei confronti della magistratura tutta e che assomiglia tristemente ad una lista di proscrizione».
«Torna alla mente, ancora una volta, la celebre frase pronunciata da Piero Calamandrei riguardo ad Aurelio Sansoni, magistrato in Toscana durante il ventennio fascista, il primo giudice ad essere definito con disprezzo ‘rosso’ (quindi politicizzato, fazioso, non legittimato): Non era in realtà né rosso né bigio – scrisse Calamandrei -era semplicemente un giudice giusto: per questo lo chiamavano rosso, perché sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto, v’è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a seguire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria», conclude l’esecutivo nazionale di Md.

Il sindacato di sinistra delle toghe cerca di tutelare i magistrati, con argomenti solo in parte condivisibili (molte inchieste o sentenze appaiono all’opinione pubblica influenzate da contesti politici), ma non spende una sola parola per criticare non la sentenza (anche se restano dubbi), ma il comportamento del Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Roma. Il quale – di fronte alle proteste per una sentenza ritenuta ingiusta – si è permesso d’irridere una madre che ha perso un figlio di 20 anni con la sarcastica frase «si vuole fare una passeggiata a Perugia», intendendo dire con ciò che avrebbe potuto anche denunciare la signora. Solo il ministro Bonafede ha comunicato che ovviamente non può intervenire contro la sentenza Vannini, ma intende chiarire il comportamento del Presidente all’atto della lettura del dispositivo. Mentre il Presidente Mattarella, che presiede il Consiglio Superiore della magistratura, non ha avuto nulla da dire a tal proposito. Tutti sembrano difendere questa categoria d’intoccabili, anche quando certi comportamenti sono obiettivamente indifendibili.

Paolo Padoin

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