Ministeri studiano provvedimenti per limitare le Ong, ma debbono fare i conti con i magistrati

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Per evitare altre incursioni delle navi Ong, che ormai si sono ridotte alla sola Sea Watch perchè le altre sono nel mirino delle autorità di vari Stati, Salvini e Toninelli hanno messo al lavoro gli esperti dei loro ministeri per scovare disposizioni legislative che permettano di bloccare l’arrivo di queste navi che credono di poter dettar legge a loro piacimento, e in Italia ci riescono grazie alla compiacenza delle sinistre, della associazioni cattoliche e della magistratura.

Un lavoro febbrile quello degli uffici legislativi dei ministeri dei Trasporti e dell’Interno. Obiettivo: cercare, tra le maglie delle leggi esistenti, gli argomenti per fermare le navi delle Ong che salvano e trasportano migranti. Bloccare alcune navi definite «non inoffensive» dirette in Italia che «favorendo l’immigrazione clandestina potrebbero rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale», questo il principio da cui si parte al ministero dell’Interno dove si sta cercando di far leva sull’articolo 83 del codice della navigazione secondo il quale «Il ministro dei Trasporti può limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il ministro dell’Ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende».

Un’attività che viene svolta in accordo fra i tre ministeri, che però si presenta di difficile realizzazione perché le navi delle Ong trasportano migranti, non sono dunque qualificabili come mercantili e non trasportano scorie nucleari o merci rischiose.

Ci vorrebbe allora subito un nuovo “decreto sicurezza” che rischia di acuire il dissidio tra Lega e M5S. Ma il problema è soprattutto come mettere insieme nuove norme che rendano più difficile alle Ong il salvataggio dei migranti senza infrangere gli accordi internazionali. In buona sostanza si tratta di norme che devono essere in armonia con la “Convenzione Onu dei diritti del mare” e con la “Convenzione di Amburgo”.

La prima stabilisce che il passaggio in mare di navi nelle acque di un altro stato è consentito «finché non arreca pregiudizio alla pace» e «alla sicurezza dello Stato». Ma nell’elenco contenuto al secondo comma si inserisce anche la «violazione delle leggi sull’immigrazione vigenti nello stato costiero».

La Convenzione di Amburgo del 1979 prevede che lo sbarco delle persone soccorse in mare deve avvenire nel «primo porto sicuro» sia in termini di rispetto dei diritti umani sia per vicinanza geografica. In attesa di novità infatti lo sbarco dei migranti della Sea Watch conferma come non ci sia mai stato un provvedimento di chiusura dei porti da parte del ministro competente (Toninelli).

Dovrebbero essere i magistrati ad intervenire se intravedessero illegalità e violazioni di norme da parte delle navi Ong e dei loro equipaggi, ma finora o non hanno individuato violazioni o, più probabilmente, hanno chiuso tutti e due gli occhi. Solo il procuratore di Catania Zuccaro ha indagato sulle Ong, ma poi il tutto, in sede di giudizio, si è risolto in un nulla di fatto.

Quanto alla sorte dei 47 migranti, si sarebbe deciso di redistribuirli in sette – otto Paesi, che volontariamente si accollano quest’onere, in assenza di regole europee vincolanti, attese da anni. Ma l’imbelle e incapace Europa prevede solo una solidarietà per iniziativa spontanea di singoli Paesi, anche perché non esiste tuttora un obbligo giuridico di redistribuzione dei migranti. Resta ora da vedere entro quanti giorni i 47 migranti verranno portati nei paesi che si sono fatti avanti. Malta reclama ancora la mancata accoglienza da parte dell’Italia dei migranti salvati a inizio mese destinati alla comunità valdese, ma l’Italia avrebbe ben altri e più pesanti motivi per reclamare l’intervento dei neghittosi ed egoisti altri Stati membri.

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