Reddito di cittadinanza di 780 euro, prima i pensionati, poi i disoccupati

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Da un interessante articolo sul Messaggero, a firma di Michele Di Branco, traiamo quest’acuta analisi sulle prospettive di attuazione del reddito di cittadinanza. Dal suo giudizio la conferma che si tratta d’intervento sociale e non certo previdenziale, e quindi deve essere finanziato con fondi prelevati dalla fiscalità generale e non colpendo solo gli altri pensionati:

«Operazione in due mosse: prima i pensionati, poi i disoccupati o comunque tutti coloro che si trovano in stato di povertà. Sul Reddito di cittadinanza, caposaldo dei 5 Stelle, il governo investirà 10 miliardi di euro. Da gennaio 2019, appunto, i trattamenti previdenziali più bassi (compreso l’assegno sociale) saranno portati a quota 780 euro mensili ma per contenere la spesa saranno applicati limiti di reddito basati sulla ricchezza familiare. Poi a marzo, mese entro il quale il governo conta di aver completato la riforma e il potenziamento dei centri per l’impiego, il meccanismo verrà esteso a tutta la platea dei circa 6,5 milioni di poveri. Lo schema prevede un trasferimento monetario da parte dello Stato pari alla differenza tra la soglia di povertà e il reddito familiare effettivamente percepito. La misura usa l’indice di povertà monetaria individuato dall’Ue nel 2014, corrispondente al 60% del reddito mediano netto (in Italia 780 euro mensili, 9.360 all’anno, per un adulto single), ponderato per la composizione del nucleo familiare. In sostanza, si individuano redditi minimi per tutte le diverse composizioni familiari. E se un particolare nucleo familiare non arriva a quella soglia (780 euro al mese, appunto), lo Stato verserà un contributo pari alla differenza tra i due valori: il poverty gap. La riforma prevede tre pre-requisiti: la maggiore età, lo stato di disoccupazione e avere un reddito da lavoro e da pensione inferiore alla soglia di povertà

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