Lavoro: Istat conferma, l’Italia è il paese delle raccomandazioni. A poco servono i centri per l’impiego

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In Italia la ricerca del lavoro passa sempre di più dai propri contatti: l’87,3% delle persone in cerca di impiego si rivolge a parenti, amici e conoscenti nel 2017, una quota cresciuta negli anni della crisi (era 81,2% nel 2007). Sono gli ultimi dati Istat presentati dal presidente, Giorgio Alleva, in un’audizione alla commissione Lavoro del Senato. Nell’epoca del Jobs Act, l’impiego si trova con i rapporti e le conoscenze personali molto più che con tutto l’ambaradan di strumenti pubblici messi in atto e passati dalle province alle regioni. Con costi alti.

L’Istat certifica il fallimento di questi sistemi pubblici, perché poco meno di uno su quattro utilizza i centri per l’impiego (24,2%). Si rivolgono ai centri relativamente di più gli abitanti del Nord (30,3% delle persone in cerca rispetto al 19,2% del Mezzogiorno, dove è più importante il compare d’anello), gli uomini (25,4%, per le donne è il 22,7%) e gli ultracinquantenni (26,2% rispetto al 23,3% dei giovani di 15-34 anni).
Ancora più marginale è il ruolo dei centri dell’impiego nei giudizi di chi ha trovato lavoro tra il 2016 e il 2017, governo Renzi e Gentiloni. In questo caso i centri sono ritenuti utili per il successo delle azioni di ricerca solo dal 2,4% del campione, mentre il contatto con amici e parenti è proficuo secondo il 40% del campione. Una vera e propria débacle di questo costosissimo e apparentemente inutile circiuto.Questa quota sale al 44% nelle regioni del Centro, al 50,3% tra le persone che hanno al massimo la licenza media e al 57,6% tra gli stranieri.

Il ricorso ai servizi di agenzie di intermediazione diverse dai centri mostra risultati relativamente migliori dei centri per l’impiego: li ritiene utile il 5,2% di chi ha trovato lavoro (8,5% nelle regioni settentrionali). L’utilità di queste agenzie viene sottolineata soprattutto tra gli occupati più giovani (6,2% fra chi ha meno di 35 anni) e tra chi ha un diploma di scuola superiore (5,9%), meno da chi ha completato anche l’università (3,7%). Si conferma comunque la fondata sfiducia nel sistema pubblico.

Un’indagine specifica del 2016 sui giovani in Italia e negli altri Paesi dell’Ue sui giovani di età compresa fra i 15 e i 34 anni conferma il limitato ricorso ai centri. In particolare, con riferimento ai giovani che sono stati assunti nel corso dell’anno come lavoratori alle dipendenze, in Italia solo l’1,7% ha indicato i Cpi come utili per trovare l’occupazione attuale, rispetto ad una media del 4% nell’insieme dell’Ue.

Il fallimento di questo sistema dovrebbe far riflettere il vicepremier Di Maio, nella consapevolezza che i giovani si aiutano dando loro ka possibilità di lavorare e non rapinando di una parte degli assegni i oensionati per redistribuire il maltolto fra chi fa poco o nulla per trovare una fonte lecita di introit

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