Isis: fra i foreign fighters ci sono cinquemila cittadini europei

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Abbiamo più volte dato notizia che dall’Italia e dell’Europa siano partiti molti cittadini per arruolarsi come foreign fighters nei ranghi dell’Isis, attirati dal mito dell’esercito del Califfato. Adesso che quest’esercito è in rotta, circa cinquemila cittadini dell’Ue che hanno militato tra le file dell’Isis, ottocento dei quali provenivano dai Paesi dei Balcani occidentali, potrebbero rientrare nel nostro continente. Sono complessivamente 130 i nomi dei foreign fighters italiani inseriti dal ministero degli Interni e dall’Intelligence nel database dei soggetti potenzialmente pericolosi in quanto combattenti, affiliati o sostenitori dell’Isis.

I numeri dei foreign fighters europei, citando dati dell’Europol, sono stati forniti da Tsvetan Tsvetanov, presidente della Commissione per la sicurezza e l’ordine pubblico del Parlamento bulgaro, nel corso della conferenza stampa al termine della seduta a Sofia del gruppo di controllo parlamentare congiunto (Parlamento europeo e parlamenti nazionali) delle attività di Europol.

In Italia i servizi prestano la massima attenzione a questo fenomeno. Un pregevole studio di Alessandro Boncio – che risale a inizio 2017 ma è particolarmente significativo – ha analizzato il profilo dei nostri foreign fighters che hanno operato nell’ambito del conflitto siro – iracheno.

«La crescita del fenomeno FTF in Italia segue in generale la tendenza europea, anche se la reazione agli stimoli esterni è leggermente in ritardo.
Nel mese di maggio 2014 (prima della proclamazione del cosiddetto Califfato) furono censiti circa 30 mujaheddin italiani; nel gennaio 2015 il totale era di 53 unità (+ 76%); a maggio 2015 il numero raggiunse i 74 FTF (+ 39,6%); nel settembre 2015 il totale era di 87 persone (+ 17,5%). Infine, ad aprile e ad agosto del 2016 sono state censite rispettivamente 98 (+ 12,6%) e 110 persone (+12,2%).
A parte pochi casi isolati, il fulmineo affermarsi del fenomeno ISIS ha pesantemente influenzato anche le scelte dei nostri giovani jihadisti, così come successo nel resto d’Europa; rappresentando una immagine vincente rispetto al ‘vecchio’ modello qa’idista, ha fornito alla nuova generazione di FTF una marcata identità collettiva (soprattutto dopo la proclamazione del ‘Califfato’) ed uno scopo da perseguire in un vagheggiato ‘stato Islamico’.

Una caratteristica italiana interessante è una presenza sovra-dimensionata tra i FTF italiani di mujaheddin originari dei Balcani rispetto al numero proporzionalmente inferiore di nordafricani. Questo dato appare peculiare dal momento che i musulmani di origine nordafricana rappresentano la comunità più cospicua stabilitasi in Italia, come confermato anche dalla attuale ondata migratoria verso il nostro paese.

Nel suo complesso, la situazione jihadista italiana è in linea con il resto del panorama europeo; si può considerarla come una versione ridotta (numericamente) del jihadismo tedesco, presentando tra le sue fila, spesso composte da individui con precedenti penali, un elevato numero di disoccupati e di persone con un basso livello di istruzione; caratteristiche che la differenziano ad esempio dalla rete jihadista britannica, solitamente composta da soggetti più istruiti e integrati socialmente e professionalmente più qualificati.

Adesso, sconfitto l’Isis, tutte queste persone potrebbero rientrare in Europa e in Italia, anche mischiandosi al popolo dei barconi, come è stato appurato molte volte di recente. I nostri servizi mantengono gli occhi ben aperti, ma si tratta di una questione verso la quale il prossimo governo deve continuare a prestare la massima attenzione.

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