Piacenza, carabiniere ferito: la commovente e significativa lettera della moglie di un poliziotto

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Vogliamo pubblicare anche noi la lettera che ha inviato al giornale L’Avvenire la moglie di uno degli agenti di Polizia in servizio il 10 febbraio a Piacenza, quando è stato ferito gravemente da un gruppo di antagonisti violenti un brigadiere dell’Arma dei carabinieri.

Le parole della signora rendono perfettamente conto dello stato d’animo e dei sentimenti delle famiglie dei rappresentanti delle Forze dell’ordine. Ogni volta che il congiunto esce per un servizio non sanno se tornerà sano e salvo, mentre politici e istituzioni e media si ricordano dei tutori dell’ordine solo quando vengono feriti, o peggio uccisi, da delinquenti o manifestanti violenti. Ecco il testo:

«A Piacenza sabato 10 febbraio c’ero anch’io, e con me tutte le madri, le mogli, le fidanzate e i figli che con amore, ma soprattutto con dedizione, forza e coraggio riescono a stare al fianco di un uomo che indossa una divisa. Sono una di quelle donne che hanno imparato a dividere il proprio compagno con la Polizia di Stato. Una di quelle donne che sa cosa voglia dire salutare quasi ogni giorno un pezzo della propria famiglia, augurandosi che torni indenne e vivo dal servizio che gli è stato assegnato, e che si chiede perché le Istituzioni intervengano solo davanti a un uomo ferito o addirittura morto, perché sui giornali e alla tv si parli solo degli errori delle Forze dell’ordine e non si elogino mai uomini che, nonostante tutto e tutti, dimostrano di sapere fare il proprio lavoro senza eccedere. Ho guardato le immagini che ritraevano una decina di uomini pronti a fermare un intero corteo; una decina di uomini uniti – spiega la moglie dell’agente – compatti ma soprattutto decisi a portare a termine quello che era stato detto loro di fare; una decina di uomini chiamati a indossare un casco e a portare un manganello a tutela della sicurezza di tutti e della propria incolumità preparati ad affrontare quattrocento manifestanti, tutt’altro che pacifici, armati di bastoni e di lacrimogeni e con il volto coperto. Mi scuso per lo sfogo – conclude – e anche di chiederle di coprire con discrezione il mio nome. Ma non sono solo la moglie di un poliziotto, sono anche la mamma di una giovane adolescente a cui vorrei trasmettere serenità tanto quanto l’importanza dei valori per cui ogni giorno suo padre si trova a combattere in questa nostra Italia..»

Sottoscrivo punto per punto le parole della signora, anche quello che Lei non ha voluto aggiungere alla fine, i puntini di sospensione credo che si riferiscano a un’Italia, intesa come politica, istituzioni e comunicazione, che non merita il sacrificio e il rischio quotidiano che i rappresentanti delle Forze dell’ordine affrontano quotidianamente per difendere la nostra libertà. Come funzionario prima e poi come prefetto sono stato vicino ai tutori dell’ordine e alle loro famiglie, ho condiviso i loro timori, le loro sofferenze, i loro lutti e ho cercato sempre di assistere, anche moralmente, chi si trovava in situazione di difficoltà o disagio. Cosa che non si può dire di molti politici, anche rappresentanti delle istituzioni e soprattutto del mondo della cultura, che spesso nelle forze dell’ordine vedono un nemico da combattere, o peggio da processare in ogni occasione nella quale ritengono che si sia fatto uso di violenza.

Paolo Padoin

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