Giustizia: dopo molte resistenze approvata legge sul whistleblowing, a protezione di chi denuncia illeciti

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Non è stata data molta pubblicità alla legge approvata da due giorni in Italia, a tutela di chi denuncia episodi di corruzione e malversazione all’interno delle aziende in cui lavora, definita con il solito incomprensibile termine inglese whistleblowing. L’articolo 3 in particolare prevede che sia protetto il perseguimento, da parte del dipendente pubblico o privato che segnali illeciti, dell’interesse alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni.

La legge è nata in seguito alla grave ingiustizia a suo tempo determinata dal caso di un dipendente di un’azienda lombarda che aveva denunciato il presidente che aveva usato in modo disinvolto le carte di credito aziendali. Al processo in primo grado scaturito dalle denunce il presidente è stato condannato per peculato a due anni e otto mesi, mentre chi l’ha denunciato ha perso il lavoro. Ma niente è cambiato fino a ieri, perché nel frattempo anche in altra città chi aveva denunciato situazioni in base alle quali un soggetto era stato condannato per peculato, è stato a sua volta condannato a risarcire quest’ultimo, la cui onorabilità era stata danneggiata in tale occasione, secondo l’insindacabile giudizio di un giudice civile monocratico. In questo Paese evidentemente si cerca di scoraggiare chi denuncia irregolarità.

La nuova legge, passata al Senato il 18 ottobre scorso, e definitivamente approvata dalla Camera, dovrebbe portare al mutamento della situazione. Interessante l’analisi che ne fa Sergio Rizzo su Repubblica del 16 novembre scorso, ricordando quello che avviene in altri paesi più civili del nostro e con magistrature meno arroccate a difesa dei loro privilegi.

Rizzo ricorda che, da quando nel 2011 esiste negli Usa il whistleblower program, la Sec ( la Consob americana ) ha recuperato 584 milioni: i denuncianti non soltanto hanno avuto protezione, ma sono stati ricompensati con 111 milioni. E gli Stati Uniti sono in buona compagnia perché il whistleblowing è una pratica legalmente tutelata, per esempio, in Canada, Olanda e Regno Unito. Come anche in Francia, sia pure con alcune limitazioni. Perfino in Africa c’è chi si è posto il problema di tutelare chi denuncia episodi corruttivi: il Ghana ha una legge addirittura dal 2006. Ma non è una novità che in tema di giustizia l’Italia sia più arretrata di molti paesi africani.

Vero è che anche l’Europa, come al solito, sulle questioni importanti è molto indietro: Bruxelles non ha mai approvato un regolamento, e nella maggioranza dei Paesi europei non esistono leggi in materia. Sono 20 su 28, e fra questi c’è la Germania. Ma bisogna anche dire che la piaga della corruzione non ha ovunque lo stesso impatto sociale.

Dal 1997 a oggi l’Italia è passata dal trentesimo al sessantesimo posto nella classifica della corruzione percepita stilata da Transparency international, mentre la Germania saliva dalla tredicesima alla decima posizione. Secondo uno studio pagato della Commissione europea e citato dall’Associazione Riparte il futuro in un suo rapporto, una norma europea generale di protezione del whistleblowing farebbe recuperare agli Stati membri 5 miliardi di denari pubblici. Ma i superburocrati strapagati di Bruxelles hanno evidentemente altro a cui pensare.

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