Immigrazione e terrorismo: le illusorie ricette di un sociologo francese

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Anche in Francia, come in Italia, la questione immigrazione tiene banco e si scontrano le tesi e le politiche delle opposte fazioni. Da un lato il Front National, con Marine Lepen, la cui forza è uscita ridimensionata dalle ultime elezioni, nelle quali ha ottenuto la miseria di otto deputati; dall’altra la maggioranza governativa e il variegato schieramento di sinistra, favorevoli all’accoglienza e all’integrazione, anche se non incondizionate e illimitate alla maniera italiana.

Il dibattito, insomma, ferve in tutta Europa. Tra i libri recentemente usciti oltralpe sull’argomento, uno in particolare ha attirato la mia attenzione: “Quand la Méditerranée nous submerge. Réfugiés, terrorisme, islam, populisme” di Jean Viard, sociologo, professore al CNRS, ex deputato, che si autodefinisce cattolico di sinistra. L’orientamento dell’autore è dunque, prevedibilmente, umanitario e filo-accoglienza; pensavo però che il professore-deputato trattasse in modo più approfondito la questione delle traversate del mediterraneo e delle conseguenti sciagure , alle quali dedica solo poche pagine, ricordando tra l’altro come la prima grande migrazione transmediterranea verso la Francia sia stata quella del 1962, quando l’Esagono accolse un milione di rimpatriati dall’Algeria. A mezzo secolo di distanza dal rientro nella madrepatria dei pieds noirs, i cittadini francesi in fuga dall’ Algeria, il Mediterraneo di nuovo ci sommerge; ma stavolta non è un’onda di ritorno, è uno tsunami che porta in Europa una massa enorme di persone di lingue, culture, religioni e mentalità radicalmente diverse da quelle della maggioranza della popolazione europea.

Va detto che, prima di tracciare un quadro positivo dei benefici dell’immigrazione per il vecchio continente, il sociologo fa parlare le statistiche. I numeri di quanto è avvenuto in Europa di recente, a seguito di un’immigrazione incontrollata e incontrollabile, sono impressionanti. Partiamo dagli attentati: ne sono stati rivendicati ben 1.681 da Daesh (tra i più sconvolgenti, la strage del camion della morte sulla proménade des Anglais a Nizza, il 14 giugno 2016); hanno provocato la morte di 12.000 persone, di cui 226 in Francia. Molti giovani cresciuti nelle periferie degradate delle città francesi uccidono altri francesi o partono per arruolarsi in Siria nelle truppe del cyberterrorismo. Mentre altri milioni di aspiranti rifugiati sognano di attraversare il Mare nostrum per fuggire da guerre e persecuzioni (una minima parte) o per trovare condizioni di vita migliori.

Del resto i milioni d’immigrati dalle ex colonie, divenuti cittadini francesi di seconda o terza generazione, soffrono la mancata piena integrazione e danno vita alle rivolte delle banlieues. Basta addentrarsi in alcuni quartieri periferici di Parigi per toccare con mano una situazione esplosiva. Una situazione che è simile in Belgio e potrebbe estendersi ad altri paesi, visto che in tutt’Europa si contano già dai 14 ai 16 milioni di abitanti di religione musulmana.

Ma quali sono le ricette del nostro sociologo?

Prima proposta: si potrebbe anzitutto, per evitare le morti in mare, organizzare un servizio di traghetti a disposizione degli immigrati, in partenza da Istanbul e da Tripoli. Si dimentica però che questo servizio già lo fanno in buona parte, e a nostre spese, le missioni italiane ed europee nel Mediterraneo e le navi Ong, che spesso sono collegate ai trafficanti di uomini.

In secondo luogo l’autore spera che, grazie a una nuova politica dell’accoglienza di cui dovrebbero essere a capo Francia e Germania, la situazione si evolva. La Germania ha accolto un milione di siriani, e Angela Merkel ha adottato questa risoluzione perché il suo paese ha un basso tasso di natalità, – 1,44 contro il 2,08 della Francia. La Francia, invece, aveva già fatto la sua parte quando, una decina d’anni or sono, il governo organizzò il rilancio dell’industria automobilistica (sede principale a Billancourt, presso Parigi): ci fu allora la necessità di assumere qualche centinaio di migliaia di immigrati. Se Francia e Germania facessero fronte comune verso la confine Sud, si potrebbe arrivare davvero, secondo l’ autore, a una euro-mediterraneità aperta. Viard, da buon francese colto e snob, non prende minimamente in considerazione un ruolo dell’Italia, che pure sopporta il carico più pesante del problema migratorio.

Ultima proposta: per una migliore integrazione sociale e religiosa il dotto sociologo propone di edificare una moschea in ciascuna delle principali città di Francia (13) e ampliare poi questo progetto al fine di promuovere la piena libertà di culto dei musulmani. E nota che ormai dal binomio chiesa-campanile occorre passare al binomio chiesa-moschea (sperando che l’edificazione della moschea non comporti ipso facto la demolizione del campanile).

Apprezzabile quando traccia una storia completa delle migrazioni e del ruolo che il mar Mediterraneo fin dall’antichità (greci, egiziani, romani, fenici) ha svolto per l’unione delle terre che si affacciano sul suo specchio, il libro appare velleitario e talvolta di un’ ingenuità sconcertante quando si tratta di passare dai buoni propositi ai progetti concreti. Completano il quadro, come c’era da attendersi, severi giudizi di riprovazione per Trump e la Le Pen. Come se fossero loro il problema e non la mancanza di un’efficace politica europea dell’immigrazione, non l’inerzia di quell’ente in larga misura inutile che è l’ONU, non l’assenza di una legislazione europea unitaria in materia, col conseguente procedere in ordine sparso dei diversi stati a seconda delle rispettive convenienze: chi erige muri, chi blinda le frontiere, chi spalanca tutte le porte all’insegna di una carità troppo spesso pelosa.

Paolo Padoin

 

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