Pensioni: l’inflazione torna a correre. Bisogna adeguare gli assegni al costo della vita

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L’inflazione rialza la cresta, notizia di oggi, tanto che in alcune province (Bolzano, Milano) il costo della vita è aumentato di oltre il 2% e a farne le spese sono soprattutto i lavoratori a reddito fisso e i pensionati. Categorie che, in questi anni, non hanno goduto di perequazione adeguata a causa della deflazione che ha imperato per lunghi anni e delle normative introdotte dai vari governi, in particolare della famigerata legge Fornero.

Ricordiamo che la perequazione è il termine che identifica la rivalutazione dell’importo pensionistico legato all’inflazione. In pratica si tratta di un meccanismo attraverso il quale l’importo delle prestazioni viene adeguato all’aumento del costo della vita come indicato via via dall’Istat. Il fine che la legge intende perseguire è quello di proteggere il potere d’acquisto del trattamento previdenziale pensionistico qualsiasi esso sia. In questi ultimi anni però le modalità di erogazione della rivalutazione sono state piu’ volte riviste dal legislatore (con interventi a volte arbitrari) per esigenze endemiche di contenimento della spesa pubblica sino a generare molta confusione.

Dal 1° gennaio 2012, con il Decreto legge 201/2011, è stato disposto addirittura il blocco dell’indicizzazione nei confronti delle pensioni che erano di importo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps. Le pensioni di importo inferiore sono state invece adeguate pienamente all’inflazione (+ 2,7% nel 2012 e + 3% nel 2013). Dal 1° gennaio 2014, la legge 147/2013, ha introdotto un sistema di rivalutazione suddiviso in cinque scaglioni prorogato poi dalla legge di stabilita’ 2016 sino al 31 dicembre 2018.
Per le pensioni di importo fino a tre volte il trattamento minimo l’adeguamento avviene in misura piena (100%); per le pensioni di importo superiore e sino a quattro volte il trattamento minimo viene riconosciuto il 95% dell’adeguamento; per quelle di importo superiore e sino a cinque volte il minimo l’adeguamento è pari al 75%; adeguamento che scende al 50 % per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il minimo e al 45% per i trattamenti superiori a 6 volte il trattamento minimo inps.

Su queste norme si è poi inserita la Sentenza della Corte Costituzionale 70/2015 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale il blocco biennale previsto dalla Legge Fornero sui trattamenti superiori a 3 volte il minimo. Per accogliere la censura della Corte l’esecutivo è intervenuto con il decreto legge 65/2015, un provvedimento che tuttavia ha garantito una rivalutazione parziale e retroattiva solo dei trattamenti ricompresi tra 3 e 6 volte il minimo inps (qui è possibile simulare gli effetti dell’intervento del citato decreto sugli assegni) lasciando sostanzialmente confermato il blocco biennale sui trattamenti superiori a 6 volte il minimo inps. Scatenando una valanga di ricorsi dei pensionati alla magistratura ordinaria e contabile. Sul tema si attende un’ulteriore pronuncia della Consulta, davanti alla quale è stata nuovamente sollevata la questione.

L’assenza di indici significativi dell’inflazione non ha causato ai pensioanti, in generale, gravissime perdite, anche se si deve tener presente l’effetto moltiplicatore che i mancati, dovuti, aumenti causeranno sui futuri trattamenti.
Ma adesso l’inflazione ricomincia a mordere ed è assolutamente necessario recuperare il sistema corretto di adeguamento delle pensioni al costo della vita. Il trattamento economico dei lavoratori sta ricominciando ad essere adeguato tramite il rinnovo di contratti da tempo scaduti. I pensionati non hanno questa possibilità e quindi giustizia vuole che i loro assegni siano adeguati all’aumento del costo della vita.

 

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