Monte Paschi: la strada stretta dell’intervento dello Stato. Le regole europee

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Dopo le ultime vicissitudini della grande banca senese sembra proprio che per il salvataggio del Monte dei Paschi non resti altra strada che l’intervento del governo. Anche questa strada presenta molte difficoltà, in quanto gli interventi statali a sostegno delle banche sono regolati da precise condizioni, da quelle che regolano il bail in agli aiuti di Stato. Nei rigidi paletti europei si può trovare una parte di flessibilità, pensata apposta per circostanze particolari, grazie alla quale un intervento statale diventerebbe possibile pur con molta cautela e su questo puntano le Autorità italiane. In previsione della prossima entrata in campo del duo Gentiloni – Padoan riteniamo perciò opportuno rammentare le possibilità di un intervento pubblico salva-banche, con le dovute eccezioni.

BAIL IN – La regola che istituisce il salvataggio interno o bail in (direttiva BRRD) stabilisce che, quando una banca sia in sofferenza di liquidità e non sia più solvibile, scatti la procedura che spartisca prima le perdite tra azionisti e obbligazionisti junior, salvando i depositi fino ai 100mila euro. Solo dopo può intervenire il fondo di tutela dei depositi o quello salva-banche, come accaduto nel salvataggio di Banca Marche, Carichieti, Carife ed Etruria.

RICAPITALIZZAZIONE PREVENTIVA – C’è però un modo per aiutare una banca senza far scattare il bail in e rispettando le regole sugli aiuti di Stato. Questo strumento non è stato utilizzato per le quattro banche, ma potrebbe essere utile nel caso del Monte Paschi. L’eccezione alla regola si trova proprio nella direttiva BRRD, alla voce ricapitalizzazione precauzionale. Dopo che uno stress test abbia rilevato una sofferenza di capitale in un istituto, che però resta solvibile, lo Stato può chiedere l’autorizzazione alla Commissione per una iniezione di capitale precauzionale, da realizzare anche attraverso l’acquisto di strumenti finanziari conteggiabili come capitale. Ci sono però delle condizioni da rispettare e i fondi pubblici devono essere limitati al minimo.

BURDEN SHARING – Anche nella ricapitalizzazione precauzionale devono intervenire gli investitori a condividere il peso (principio del burden sharing) del salvataggio: una parte di capitale si troverà convertendo il debito in azioni. E’ quello che è accaduto con quattro banche greche nel 2015: Piraeus, Alpha bank, NBC ed Eurobank avevano bisogno di aumenti di capitale per un totale di 14 miliardi di euro, ma lo Stato intervenne soltanto con 5,4 miliardi di euro, visto che 8,6 miliardi sono stati trovati o sul mercato o con operazioni volontarie di swap tra titoli e azioni.

ECCEZIONE – In realtà c’è anche un’eccezione all’eccezione, ovvero due circostanze che eliminano del tutto la necessità del burden sharing, rendendo possibili interventi statali senza condizioni. La prima: se l’intervento statale si configurasse solo come garanzia in grado di attrarre liquidità, di fatto l’iniezione di capitale verrebbe completamente da privati e il burden sharing sarebbe considerato un risultato sproporzionato. La seconda condizione che permetterebbe di aggirare la condivisione del peso è se quest”ultima mettesse a rischio la stabilità finanziaria. Una clausola mai utilizzata, perché è molto difficile da giustificare. Basti pensare che in nessuno dei casi di salvataggio verificatisi fino ad oggi, banche spagnole comprese, sarebbe stata invocabile.

Il governo prepara perciò un piano che salvi banche e banchieri, senza sacrificare i risparmiatori, come è avvenuto con le 4 banche salvate.

 

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