Pubblico impiego: ipotesi di orario flessibile in cambio di aumento di stipendio, ma resta il nodo delle risorse

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Marianna Madia e Matteo RenziDopo l’approvazione di una serie di decreti per la riforma del pubblico impiego vanno avanti gli incontri fra sindacati e governo in tema di contratto e di riorganizzazione del lavoro pubblico. Non soltanto gli incrementi di stipendio, anche gli orari di lavoro potrebbero entrare nel negoziato tra sindacati e governo nella discussione sul rinnovo del contratto del pubblico impiego.

ORARIO – Una delle ipotesi che inizia a farsi strada sarebbe quella di rendere più flessibile l’orario, portandolo da 36 fino a 40 ore settimanali come nel privato, ma dando la possibilità ai singoli dipendenti di scegliere autonomamente se continuare a lavorare lo stesso numero di ore attuali o di incrementarle. In questo secondo caso, ovviamente, ci sarebbe un incremento della busta paga. La proposta sarebbe arrivata da una parte del fronte sindacale, ma sarebbe vista con interesse dal governo, che tra i suoi obiettivi ha quello di recuperare parte del gap delle ore e dei giorni lavorati rispetto alla media europea. Sul tema degli orari la Cisl, per bocca del suo segretario confederale Maurizio Bernava, afferma: «Occorre superare la legge Brunetta, ridando spazio alla contrattazione su materie come la flessibilità, gli orari di lavoro, l’organizzazione, la mobilità». Tecnicamente il confronto dovrà avvenire in sede Aran, poi il ministro della Funzione Pubblica Marianna Madia convocherà entro la fine del mese una riunione politica con i vertici dei sindacati per provare a trovare un accordo definitivo.

RISORSE – Il nodo più delicato da sciogliere resta quello delle risorse. Al momento il governo ha stanziato 300 milioni di euro, mentre altri 300 milioni sono quelli messi a disposizione dagli enti locali per il rinnovo.I sindacati chiedono molto di più. La Uil aveva parlato di almeno 7 miliardi, una cifra ritenuta troppo elevata dal governo. Ma prima di fissare un’asticella, Palazzo Chigi sarebbe intenzionato a capire quale può essere un punto di caduta accettabile per evitare di far saltare il tavolo alla vigilia del referendum. Un livello minimo dell’aumento, in realtà, ci sarebbe. Si tratta degli 80 euro mensili già concessi con il bonus Renzi. Sotto quella cifra difficilmente i sindacati resterebbero al tavolo. Il costo a regime per le casse dello Stato sarebbe di circa 3miliardi di euro.

REGOLE – Il fronte sindacale non vorrebbe discutere, come detto, soltanto dell’aumento di stipendio, ma anche delle regole del pubblico impiego. Su questo il governo sta lavorando da tempo, e il Testo Unico per mettere ordine nella legislazione sugli statali, sarà pronto entro il prossimo mese di febbraio. Una parte dei sindacati sarebbe anche disponibile, dopo sette anni di attesa, a ritardare ancora di qualche mese le trattative pur di avere un quadro definitivo. Nel frattempo però, vorrebbero in cambio una sorta di indennità di vacanza contrattuale rafforzata, anche a compensazione di questo lungo vuoto contrattuale. Nei colloqui informali si sarebbe parlato di almeno cinquanta euro in più in busta paga.

RENZI – Ovviamente il tema delle risorse resta quello più delicato, ma fondamentale per una positiva conclusione della trattativa. Renzi, nel corso dei suoi interventi a favore del Si nel referendum istituzionale, nelle varie Feste dell’Unità ha trovato il modo anche di accennare alla possibilità di aumentare il plafond previsto per il contratto dei lavoratori pubblici, e non di poco, ricevendo subito il consenso entusiastico dei sindacati.

 

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