Presidenzialismo, le proposte di destra, centro e sinistra. La Commissione bicamerale

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Quando si parla di Repubblica presidenziale, o di presidenzialismo, si fa riferimento ad una forma di governo in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del presidente che è quindi, e contemporaneamente, sia il capo dello Stato sia il capo del governo. E’ una figura eletta direttamente dai cittadini e perciò non ha bisogno di un voto di fiducia parlamentare perché, avendo già ottenuto il voto della maggioranza dei cittadini non necessita della legittimazione dei loro rappresentanti.

Il presidente ha grandi poteri e può agire liberamente: può porre il veto alle decisioni delle Camere e svolgere alcuni compiti legislativi, dirige la politica estera dello Stato, nomina gli alti funzionari.
Proprio questa ampia libertà di manovra ne ostacola una eventuale rimozione che, per l’appunto, può essere ottenuta solo con un impeachment (messa in stato d’accusa in caso di reato ed esecuzione di un processo). Di converso il presidente non può sciogliere il Parlamento a suo piacimento.

Questo sistema è adottato da diversi Paesi nel mondo tra cui, primo fra tutti, gli Stati Uniti. Seguono poi l’Argentina, il Cile, il Brasile, il Messico, l’Uruguay, il Costa Rica e la Corea del Sud.
La Francia invece è caratterizzata da un sistema semi-presidenzialistico in cui il potere esecutivo è condiviso dal presidente della Repubblica e dal primo ministro.

Ad oggi in Parlamento sono diverse le proposte di legge depositate sul tema. La presentazione di questi testi si è susseguita nel corso della legislatura e ha interessato in maniera trasversale tutti gli schieramenti in campo, dal Partito democratico, alla Lega al Movimento 5 stelle.

Tra gli ultimi presentati ricordiamo quello a firma Pd (Zanda, Parrini e Bressa) per introdurre il divieto del secondo mandato per il presidente della Repubblica ed eliminare così il semestre bianco, il periodo antecedente alla scadenza del settennato in cui il capo dello Stato non può sciogliere le Camere. Il Pd è stato però così coerente da v otare la rielezione di Mattarella per un secondo mandato.

La Lega invece, nel 2019, con Roberto Calderoli come prima firma, aveva presentato un ddl costituzionale sull’elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Repubblica e sull’abolizione dell’istituto dei senatori a vita. Si proponeva inoltre la riduzione da 50 a 40 anni del limite di età per l’elezione a Presidente della Repubblica.

Dal Movimento 5 stelle, con le firme di Perilli e Patuanelli, era invece emerso un documento a marzo del 2019 che appoggiava soltanto l’abbassamento dell’età minima di accesso al ruolo.

C’è poi il testo a prima firma Gaetano Quagliariello del marzo 2021 che proponeva l’introduzione del sistema del Cancellierato mediante gli istituti della fiducia a Camere riunite e della sfiducia costruttiva e la revisione della disciplina per la nomina e la revoca dei ministri.

La proposta di legge costituzionale di cui si parla maggiormente è probabilmente quelle di FdI. presentata a settembre del 2019. Verrebbero modificati gli articoli 83, 84, 85 e 86 della Costituzione in materia di elezione del Presidente della Repubblica, che viene eletto “a suffragio universale e diretto”. E’ eletto il candidato che ha ottenuto la metà più uno dei voti validamente espressi. Qualora nessun candidato abbia conseguito la maggioranza, si procede con il ballottaggio (il quattordicesimo giorno successivo si procede a una seconda votazione tra i due candidati che hanno conseguito il maggior numero di voti).
Le modifiche auspicate dall’iniziativa a firma Giorgia Meloni darebbero quindi forma a un semi-presidenzialismo “alla francese”.

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Le recenti difficoltà incontrate da Macron per la formazione di un governo destano qualche perplessità in merito alla scelta di questa forma di governo.

Forse qualche dubbio è venuto anche alla Meloni che, pur ricordando che anche Renzi sarebbe favorevole alla riforma, sembra fare un passo indietro, dichiarandosi disponibile alla formazione di una Bicamerale.

La commissione parlamentare per le riforme costituzionali, detta commissione Bicamerale, è stata istituita più volte nella storia della Repubblica per studiare e proporre modifiche alla Costituzione. Pur avendo rappresentato un’importante sede di riflessione e di proposta sulle prospettive di miglioramento dell’ordinamento costituzionale italiano, nessuno dei tentativi di procedere per questa via alla modifica della Costituzione ebbe successo, in particolare la cd Bicamerale Bozzi (1983-1985) e quella De Mita-Iotti (1993-1994) non sortirono alcun effetto.

Sembrava avviata a miglior sorte quella che nel 1997 fu presieduta da D’Alema. PDS, FI, AN e PPI raggiunsero l’intesa per una repubblica semipresidenziale e una legge elettorale a doppio turno di coalizione. Un profilo affrontato nel testo era anche il Titolo IV della Seconda parte della Costituzione, attinente alla giustizia. Ma prima che si arrivasse alla conclusione dei lavori, Berlusconi ci ripensò, e tutto finì nel nulla.

Quello della Bicamerale sembrerebbe ancora il miglior metodo per decidere riforme costituzionali condivise. Anche perché, nonostante i sondaggi accreditino il centrodestra di un sostanzioso vantaggio, nessuno schieramento sembra poter raggiungere i 2/3 dei parlamentari necessari per decidere unilateralmente una riforma costituzionale.

Si tratta di un tema troppo importante per essere messo alla mercé di una sola parte politica, di destra o di sinistra che sia.

PAOLO PADOIN

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