Ecco la Stagione 2022-2023 dell’Orchestra della Toscana (ORT)

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FIRENZE – È stata presentata oggi la 42esima Stagione Concertistica 2022-2023 dell’Orchestra della Toscana (ORT), la seconda a firma di Daniele Rustioni, che prosegue sulla via tracciata l’anno scorso: portare al Teatro Verdi di Firenze bacchette e solisti che qui non si sono mai ascoltati o si sono sentiti di rado; alcuni, scritturati con regolarità e addirittura alla guida di teatri e orchestre di primo piano all’estero, arrivano per la prima volta in Italia. Rustioni punta molto sulla “meglio gioventù” che popola i cartelloni della classica, su nomi che ultimamente, per esempio, si sono fatti notare in prestigiose competizioni internazionali, come il salernitano Giuseppe Gibboni, vincitore l’anno scorso del “Paganini” di Genova, e il pianista goriziano (di padre russo) Alexander Gadjiev, secondo classificato al mitico “Premio Chopin” di Varsavia: due italiani che hanno lavorato sodo fin da piccoli, grazie anche al supporto di genitori musicisti; nel numero i direttori Michele Spotti, Diego Ceretta (che ha potuto contare su un tutor quale Daniele Gatti) e Vincenzo Milletarì (allievo dell’Opera Academy di Riccardo Muti a Ravenna; bacchette in ascesa sono quelle del bielorusso Dmitry Matvienko, secondo classificato del Concorso Cantelli di Novara nel 2020, e della sino-neozelandese Tianyi Lu, vincitrice nello stesso concorso proprio con la Settima di Beethoven che dirigerà all’ORT; da tenere sott’occhio sono pure, fra i trenta-quarantenni, il tedesco Thomas Guggeis e la russa Alevtina Ioffe. Non mancano in stagione i grandi maestri: gli americani James Conlon, direttore onorario dell’ORT, e Andrew Litton, un’autorità oltreoceano, insieme a Yutaka Sado, gloria nipponica. Tra gli amici spicca Mario Brunello, che con l’ORT ha suonato (e diretto) innumerevoli volte. I programmi a loro affidati non si distaccano da quelli tradizionali delle stagioni ORT, incentrati sulla presenza robusta di autori d’epoca classica fino al Novecento. Da sottolineare l’omaggio a Luciano Berio nel concerto di Andrea Battistoni: l’occasione sono i vent’anni dalla morte del compositore, che dell’ORT è stato fondatore e direttore artistico; spesso ne è anche salito sul podio, a Firenze e in tante grandi sale del mondo. Le nuove commissioni sono state affidate a Renato Miani (un pezzo dedicato a Pasolini, per il centenario della nascita) e a Filippo Del Corno (una composizione co-prodotta con i Pomeriggi Musicali di Milano).

IL PROGRAMMA

James Conlon è stato nominato direttore onorario dell’ORT prima della pandemia. Per insediarsi ha dovuto attendere un bel po’. C’è riuscito finalmente a novembre del 2021, e adesso che la collaborazione ha preso il via, proseguirà regolare anche negli anni a venire. Con lui, il 21 ottobre, si apre la Stagione 2022/2023. Nel suo programma due pagine del primo Ottocento composte nella stessa città, Vienna, a pochi anni di distanza l’una dall’altra: la Sinfonia n.5 di Beethoven e la Sinfonia n.4 di Schubert, detta Tragica. Con la Quinta, un Beethoven in pieno fervore creativo modella un capolavoro assoluto, grandioso e conciso, che parla con vigore titanico all’ascoltatore. Invece lo Schubert della Quarta, concepita come saggio scolastico, è un diciannovenne che, non osando ispirarsi a Beethoven, guarda ai modelli più maneggevoli di Haydn e Mozart.

Sono quasi coetanei il direttore bielorusso Dmitry Matvienko e la violoncellista salisburghese Julia Hagen. Entrambi nati negli anni ’90 e ugualmente cresciuti in mezzo alla musica. Hagen in virtù della famiglia: il papà Clemens, pure lui violoncellista, quarant’anni fa ha fondato con i fratelli il Quartetto Hagen, celebratissimo gruppo d’archi. Matvienko, invece, si è fatto le ossa grazie al supporto di una squadra di papà putativi, bacchette di primissimo piano in Russia, che l’hanno preso a ben volere: si tratta di Vladimir Jurowski, Vasily Petrenko, Michail Jurowski, dei quali è diventato assistente, e del guru Teodor Currentzis. Due anni fa ha conquistato il premio della critica al Concorso “Cantelli” di Novara. Per il suo debutto fiorentino, il 18 novembre, impagina un programma che incrocia classicismo viennese e compositori russi del ‘900. Da una parte, quindi, il Concerto n.1 per violoncello e orchestra di Haydn e l’ouverture della sola opera teatrale scritta da Beethoven, Fidelio. Dall’altra parte, a rappresentare la Russia, l’espatriato Stravinskij con le Danses concertantes, e la Sinfonia n.9 che Šostakovič concepì al termine della seconda guerra mondiale.

Thomas Guggeis – classe 1993 – è un protégé di Daniel Barenboim, che l’ha arruolato alla Staatsoper di Berlino come assistente e promosso due anni fa al ruolo di bacchetta principale, incarico mai affidato prima a un musicista di quest’età. D’altronde, lui aveva già rivestito lo stesso ruolo a Stoccarda e, da qui a pochi mesi, si appresta a passare alla guida dell’Opera di Francoforte. Tutto ciò il ragazzo di Dachau – cresciuto alla Hochscule di Monaco, perfezionatosi al Conservatorio di Milano – lo deve anche al caso fortunato di un doppio forfait accaduto nel 2018 durante l’allestimento della Salomè di Strauss a Berlino. La storia è questa: gli acciacchi non consentono a Zubin Mehta di seguirne le prove, lo sostituisce Christoph von Dohnány, il quale tuttavia litiga a morte con il regista Hans Neuenfels che ha disseminato il palcoscenico di simboli fallici, così da ultimo per salvare la baracca viene convocato Guggeis. Per lui è l’occasione della vita. Al debutto con l’ORT, il 30 novembre, arriva insieme alla coetanea Mariam Batsashvili, georgiana, che suonerà il Concerto per pianoforte di Clara Schumann (moglie del compositore tedesco). Mentre Guggeis, da solo, lavora sulla Quarta Sinfonia di Beethoven e su una partitura nuova, commissionata dall’ORT, dell’udinese Renato Miani ispirata a Pasolini, dal titolo Svuàl: termine usato proprio dal grande scrittore italiano, nelle poesie degli anni ’40, che significa semplicemente “volo”.

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Per il Concerto di Natale fissato, come tradizione comanda, nel pomeriggio della vigilia (24 dicembre ore 17.00), il nostro direttore artistico Daniele Rustioni viene meno al proposito di lasciare sempre e soltanto ad altri colleghi il podio della sua orchestra del cuore. E sul palcoscenico del Teatro Verdi torna insieme alla moglie Francesca Dego, violinista presente nelle maggiori stagioni sinfoniche e da camera d’Europa, Stati Uniti, Asia, che di recente ha anche esordito come scrittrice con il libro Tra le note. Classica: 24 chiavi di lettura (Mondadori). La coppia Rustioni-Dego si dedica al Concerto n.2 op.63 di Prokof’ev, pezzo del 1935 che il compositore scrisse alla vigilia del suo rientro in Russia, da cui era emigrato all’indomani della Rivoluzione d’ottobre. Invece risale alla vigilia della Rivoluzione la sua Sinfonia Classica, omaggio a Haydn e Mozart. Gli stessi autori a cui si rifà il terzo pezzo in programma, la Prima di Beethoven, sinfonia che nell’anno tondo 1800 saluta il Settecento per aprire, battagliera, il secolo nuovo.

Il 12 gennaio riecco un vecchio amico dell’ORT, il violoncellista Mario Brunello, curioso come al solito, che si impegna in ciò che più ama: dividersi tra il suo strumento e la guida dell’orchestra. Imbracciando il violoncello, propone l’Arpeggione di Schubert, sonata concepita in origine per pianoforte e arpeggione, un singolare strumento a sei corde (che ebbe fortuna limitata) ideato nel 1823 dal liutaio viennese Johann Georg Stauffer come via di mezzo tra viola da gamba, violoncello e chitarra. La sonata schubertiana è eseguita nella riscrittura per violoncello e orchestra firmata da un grande concertista del secolo scorso, il catalano Gaspar Cassadó, musicista assai legato alla Toscana sia come docente all’Accademia Chigiana di Siena sia per la relazione che intrattenne con la fiorentina Giulietta Gordigiani von Mendelssohn. Dopodiché Brunello dirige Notte trasfigurata di un Arnold Schönberg ancora tonale che racconta, in note, di un uomo capace di perdonare l’amata incinta di un altro.

Yutaka Sado è uno dei maggiori direttori giapponesi oggi in attività. Figlio ideale sia di Seiji Ozawa sia di Leonard Bernstein. Di entrambi è stato allievo negli Stati Uniti, lavorando a lungo come assistente per tutti e due. L’anno prossimo si insedierà come direttore musicale della Japan Philharmonic, orchestra di Tokyo fondata nel 1972 proprio da Ozawa. Per il suo debutto con l’ORT, il 25 gennaio, Sado presenta due capisaldi del repertorio viennese: la Sinfonia K.550 di Mozart e la Sinfonia n.1 di Mahler. Ma poiché l’orchestra malheriana ha dimensioni davvero titaniche, per poter avvicinarsi a questa partitura ricorre alla riscrittura per un numero minore di esecutori curata nel 2008 da Klaus Simon.

Per il concerto del 2 febbraio sul podio c’è Tianyi Lu, direttrice di Shangai cresciuta in Nuova Zelanda e adesso trasferitasi in Europa, dove ha vinto il Concorso intitolato a “Sir Georg Solti” e a Novara, nel 2020, il Concorso “Cantelli”. La sua filosofia di lavoro si basa sull’idea che il potere del direttore consista non tanto nel trovarsi in una posizione di comando, ma, grazie al ruolo che riveste, nel riuscire a rendere potenti gli altri, il che si raggiunge attraverso l’empatia. Per il debutto con l’ORT porta una pagina per archi di un’obliata musicista svedese, Elfrida Andrée (1841-1929), anche attivista per i diritti delle donne. Dirige poi la Settima Sinfonia di Beethoven e il Concerto per violoncello di Schumann. Ne è il solista (con il suo Stradivari appartenuto a Luigi Boccherini) un astro nascente, il persiano-austriaco Kian Soltani, artista della scuderia discografica Deutsche Grammophon.

Giuseppe Gibboni, solista del concerto in cartellone il 21 febbraio dedicato al Carnevale, è colui che ha riportato il premio “Paganini” in Italia dopo un quarto di secolo. Infatti nell’ottobre scorso il violinista salernitano, classe 2001, è riuscito nell’impresa di vincere uno dei concorsi più importanti al mondo, quello di Genova intitolato al “demonio dell’archetto” Niccolò Paganini. In cinquantasei edizioni solo tre altri nostri connazionali ci erano riusciti: il primo, nel 1958, era stato Salvatore Accardo. E con lui, guarda caso, Gibboni ha studiato all’Accademia Stauffer di Cremona (dove è stato ammesso a quattordici anni) e alla Chigiana di Siena. Con l’ORT, Gibboni suona uno dei più esaltanti Concerti mai scritti per violino, quello di Čajkovskij. Sul podio c’è Diego Ceretta, bacchetta giovane la cui carriera marcia in quarta da quando Daniele Gatti lo ha premiato come miglior allievo dei suoi corsi alla Chigiana e l’ha voluto, l’anno scorso, come assistente per la prima assoluta dello Julius Caesar di Giorgio Battistelli all’Opera di Roma. Ceretta propone lo Scherzo giovanile di Rachmaninov insieme a due lavori francesi datati 1919: Masques et bermasques di Fauré, omaggio alla Francia settecentesca, e Le boef sur le toit di Milhaud, un susseguirsi di temi brasiliani assemblati secondo la tecnica del montaggio cinematografico.

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L’8 marzo programma d’ambientazione britannica per Michele Spotti, direttore che alla soglia dei trent’anni si sta imponendo in Europa come punto di riferimento per il repertorio operistico dell’Ottocento. Insieme al tenore irlandese Robin Tritschler e Martin Owen (primo corno della BBC Symphony Orchestra) presenta la Serenata op.31 di Benjamin Britten, composizione del 1943 che medita sulla natura e sulla notte inanellando versi inglesi di diverse epoche. Di Britten, inoltre, vengono proposte Lachrymae, solista Stefano Zanobini, prima viola dell’ORT: omaggio a un grande compositore d’epoca elisabettiana, John Dowland. Negli altri due pezzi diretti da Spotti appare invece la Gran Bretagna osservata da musicisti del continente. Nelle Ebridi Mendelssohn raffigura il suo stupore di fronte alla Grotta di Fingal (sull’Isola di Staffa, nell’arcipelago scozzese delle Ebridi, appunto); La pendola, invece, è una delle dodici sinfonie che Haydn compose, al colmo della fama, in occasione dei suoi due viaggi a Londra.

Arrivano entrambi dagli Stati Uniti i protagonisti della serata del 16 marzo. Ma nessuno dei due ha origini americane. È di Bari infatti il pianista Alessio Bax, classe 1977, che nel Conservatorio della sua città si è diplomato a 14 anni e a Dallas si è perfezionato con Joaquín Achúcarro. Adesso che il Conservatorio del New England lo ha arruolato come insegnante, l’Italia è per lui ancora più lontana, se non fosse che da cinque estati fa il direttore artistico degli “Incontri in Terra di Siena”, raffinata rassegna concertistica della Val d’Orcia che ha sede a villa “la Foce”, già dimora della scrittrice-filantropa Iris Origo. A Bax è affidato il temibile Concerto n.2 di Brahms. Sul podio un’altra statunitense d’adozione, la neozelandese Gemma New, bacchetta principale della Hamilton Philharmonic, in Canada, della New Zealand Philharmonic e bacchetta ospite della Dallas Symphony. Con l’ORT dirige l’ouverture di Beethoven per il dramma Egmont di Goethe e la Sinfonia n.4 di Mendelssohn, chiamata Italiana poiché trasferisce in note le impressioni che il compositore tedesco riportò durante il suo Grand Tour nel Belpaese.

Generazioni ed esperienze diverse a confronto nel concerto del 29 marzo. Sul podio il newyorkese Andrew Litton, direttore di lungo corso (classe 1959) e di grande autorevolezza negli Stati Uniti, che maneggia di tutto, dall’opera al repertorio sinfonico, dal jazz alla danza – attualmente è direttore musicale del New York City Ballet. Al pianoforte, per il Concerto n.1 di Brahms, siede il veneziano Alessandro Taverna: musicista glocal, capace di coniugare la dimensione internazionale delle sue collaborazioni con la devozione alle radici e al territorio da cui proviene. Infatti ha deciso di continuare a insegnare nello stesso luogo in cui si è formato, la Fondazione musicale S.Cecilia di Portogruaro, dove dirige anche il festival concertistico. Completa il programma la Sinfonia n.5 di Mendelssohn, nota come Riforma poiché scritta per celebrare il terzo centenario della Confessione di Augusta, il documento del 1530 che per primo espose i princìpi teologici del protestantesimo.

Alevtina Ioffe, protagonista del Concerto di Pasqua del 7 aprile, è la prima donna russa cui sia stata affidata la responsabilità di un teatro, il Michajlovskij di San Pietroburgo. È accaduto l’anno scorso, a seguito della morte per Covid di Alexander Vedernikov, che fino ad allora l’aveva guidato. Repertorio d’elezione della quarantunenne Ioffe è il tardo romanticismo. Perciò impernia su tre giganti di quel periodo il programma con l’ORT. Di Čajkovskij propone la Suite “Mozartiana”, volta al Settecento. Di Dvořák la Suite ceca, un seguito di danze che richiamano il folklore boemo. Di Brahms il Concerto op.77 per violino: solista Anna Tifu, giovane violinista italo-romena uscita dalla scuola di Salvatore Accardo, che in una carriera internazionale già lunga vanta anche collaborazioni a largo raggio con Carla Fracci, Andrea Bocelli, John Malkovich (ed è stata perfino testimonial di Alitalia e della maison Fendi).

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Dopo Gibboni, un altro dei giovani strumentisti italiani nel 2021 hanno fatto man bassa di premi internazionali. È il goriziano Alexander Gadjiev, secondo premio al Concorso “Chopin” di Varsavia. Pochi mesi prima aveva superato tutti gli altri partecipanti al Concorso di Sidney, prima ancora al Montecarlo “World Piano Masters”. Con l’ORT, il 20 aprile, Gadjiev suona il Concerto n.3 di Sergej Prokof’ev, partitura di un modernismo pungente che richiede assoluto nitore tecnico. Sul podio si trova l’israeliano Daniel Cohen, attualmente direttore musicale del Teatro di Darmstad dopo esserlo stato alla Deutsche Oper di Berlino a aver collaborato a lungo con Pierre Boulez a Lucerna. Lui si confronta con la Leonore n.3 di Beethoven e con la Sinfonia Incompiuta di Schubert nel completamento che ne ha fatto in tempi recenti il musicologo Brian Newbould.

Da poco superati i trent’anni, da cinque in carriera, il pugliese Vincenzo Milletarì è un direttore che richiama sempre più attenzione, in Italia e nel Nord Europa, per il repertorio sinfonico e per l’opera italiana approfondita da studente dell’accademia ravvenate di Riccardo Muti. Con l’ORT ha debuttato nell’estate 2021. Per il suo ritorno a Firenze, il 4 maggio, si trova accanto Alessandro Carbonare, primo clarinetto dell’Orchestra Nazionale dell’Accademia di S. Cecilia. Il programma si apre con A coda di rondine, composizione, commissionata dalla Fondazione ORT e i Pomeriggi Musicali, a Filippo Del Corno, già assessore alla Cultura della giunte milanesi di Giuliano Pisapia e Giuseppe Sala, oggi responsabile Cultura nella segreteria nazionale del Partito Democratico. Carbonare, poi, è protagonista del Concerto op.73 di Carl Maria von Weber. In programma anche due pagine strumentali tratte dall’opera Arianna a Nasso di Richard Strauss (1916) e la Sinfonia K.504 di Mozart, detta Praga in omaggi alla città per cui fu composta.

Sul podio dell’ultimo appuntamento di stagione, il 23 maggio, il veronese Andrea Battistoni, scritturato dalla Scala nel 2012 quando aveva venticinque anni. Proprio allora usciva per Rizzoli il suo libro Non è musica per vecchi in cui ribadiva l’assoluta attualità della musica classica. Adesso è un’autorità in Giappone, dove guida la Filarmonica di Tokyo. All’ORT torna a distanza di un anno con un programma a tema schubertiano che è anche un tributo, nel ventennale della scomparsa, a Luciano Berio, uno dei padri fondatori dell’orchestra. Il suo Rendering (1989-90) si basa sugli appunti per una sinfonia lasciata incompiuta al momento della morte da Schubert. Del quale si ascolta poi la Sinfonia Grande, capolavoro orchestrale del 1825 mai eseguito in pubblico vivente l’autore.

Per la prima volta con l’ORT: sul podio Thomas, Guggeis, Alevtina Ioffe, Tianyi Lu, Dmitry Matvienko, Gemma New, Yutaka Sado, Michele Spotti; tra i solisti il tenore Robin Tritschler, al violino Giuseppe Gibboni; al violoncello Julia Hagen, Kian Soltani; al pianoforte Mariam Batsashvili, Alexander Gadijev; al corno Martin Owen. Debutto nella stagione dell’ORT: i direttori Diego Ceretta, Andrew Litton, Vincenzo Milletarì, e il pianista Alessio Bax. Grandi ritorni: sul podio il direttore artistico Daniele Rustioni, il direttore onorario James Conlon, e poi ancora Daniel Cohen, la violinista Francesca Dego, il pianista Alessandro Taverna, il clarinettista Alessandro Carbonare, e la prima viola dell’ORT Stefano Zanobini.

Da oggi, lunedì 6 giugno parte la Campagna Abbonamenti (tutti i termini nel foglio dedicato). Sono riconfermate le consuete forme di abbonamento (da € 45,00 a € 240,00): Completo 16 concerti, Ottetto 8 concerti, Fai da Te da 5 a 12 concerti e Fai da Te aperto da 3 a 6 concerti.

Da questa nuova Stagione 2022/23, la Fondazione ORT si impegna a riprendere la pianta pre-pandemia del Cartellone 19/20, riassegnando così i vecchi posti storici degli abbonati,

È possibile rinnovare il proprio abbonamento recandosi al Teatro Verdi allo sportello dedicato, oppure comodamente da casa, effettuando un semplice bonifico.

Per info: tel. 055 0681726 – teatro@orchestradellatoscana.it Fin da subitosono acquistabili alla Biglietteria del Teatro Verdi anche i Biglietti dei singoli concerti (intero € 19,00, ridotto € 17,00); nei prossimi giorni sarà attiva anche la vendita presso i punti vendita BoxOffice e online su www.ticketone.it con relative commissioni aggiuntive.

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