Capi di Stato e Re, chi conta di più. Il caso della Francia, da De Gaulle a Macron

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In Europa ormai esistono due tipi di Capi di Stato, i Presidenti delle Repubblica e i Re. Ma quali di questi ha i maggiori poteri secondo gli ordinamenti nazionali? Si fa riferimento ovviamente alle monarchie costituzionali e alle Repubbliche, che sono sostanzialmente di due tipi, quella parlamentare e quella presidenziale. Messa da parte la repubblica parlamentare, nella quale il Capo dello Stato non ha molti poteri, anche se in Italia Napolitano prima e poi Mattarella hanno acquisito sempre più importanza, il problema si pone fra i Re e i Presidenti della Repubblica nel regime presidenziale.
Fra questi senza dubbio, e l’argomento è attuale visto che domenica il ballottaggio in Francia ci dirà se Macron, come sembra, sarà eletto per altri 5 anni, il Presidente della Repubblica francese è quello che assomma in sé i maggiori poteri.

Prima di prendere le redini come capo di stato nel 2017 Emmanuel Macron disse che la Francia avrebbe avuto bisogno di un presidente “jupiteriano”, aggiungendo che un presidente “normale” sarebbe stato destabilizzante. Christophe Chabrot, docente di diritto pubblico all’Università Lumiere Lione 2 spiega bene il senso della frase di Macron: “”In Francia abbiamo un presidente che presiede la Repubblica, che controlla il governo, che controlla il parlamento, che controlla la Corte costituzionale. È un super presidente, una specie di Giove, come chiamiamo Macron. È un po’ come se fossimo tornati al 1830, quando nelle monarchie europee il re cominciava a perdere i suoi poteri a favore del primo ministro, ma conservava ancora molto potere”. E nessun monarca adesso in Europa ha poteri tali da potersi confrontare col presidente della Repubblica transalpino. Neppure la Regina Elisabetta II, i reali di Belgio, Olanda, Spagna e dei paesi nordici possono prendere decisioni così rilevanti, come le ha prese Macron, ad esempio nella fase della pandemia, perché questi poteri spettano non a loro ma ai premier dei rispettivi governi.

Uno dei problemi che all’inizio si presentarono in Francia è stato senza dubbio quello della cohabitation, tenuto conto del fatto che elezioni del Presidente e del parlamento erano sfalsate. Il Presidente cioé poteva trovarsi a confrontarsi con un governo di segno politico diverso dal suo. Dall’inizio della Quinta Repubblica la coabitazione si è verificata tre volte: nel 1986, 1993 e 1997. L’ultima volta il presidente di destra Jacques Chirac fu costretto a nominare il socialista Lionel Jospin come primo ministro dopo aver indetto delle elezioni lampo. Chirac ha poi presentato una legge per cambiare la costituzione nel 2000, limitando il mandato presidenziale a cinque anni invece di sette. La questione è stata sottoposta a un referendum, con il 73% dei voti a favore. “Il presidente incarna l’interesse generale e la continuità della Repubblica. Lo sceglierete più spesso – disse Chirac -. La vostra voce, la vostra decisione avrà più importanza. Il vostro dovere democratico sarà rafforzato”.

Un’altra conseguenza della riduzione del mandato presidenziale a cinque anni è che le elezioni parlamentari si sarebbero tenute solo un mese dopo quelle presidenziali. Un cambiamento che dà al vincitore delle presidenziali ampie garanzie di assicurarsi anche la maggioranza parlamentare. “Non si cambia opinione politica in un mese – dice Chabrot -. Quindi l’esito delle elezioni parlamentari sarà quasi certamente identico a quello delle presidenziali”. Dall’approvazione della riforma è stato sempre così: tutti i presidenti eletti hanno poi potuto contare sulla maggioranza in parlamento, compreso Macron, che nel 2017 ci è riuscito con un partito politico nuovo di zecca e con deputati che erano precedentemente sconosciuti agli elettori.

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I critici ritengono che il sistema debba cambiare per riequilibrare le istituzioni, in modo che non sia una sola persona a prendere tutte le decisioni più importanti senza poi doverne rendere conto. Resta il fatto che il sistema francese garantisce stabilità e governabilità per dettato costituzionale, anche in caso di maggioranze diversificate o risicate.

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