Con lo stop dei rimborsi elettorali, destinati a esaurirsi entro il 2017 e sostituiti con il 2×1000 e con il via libera alle donazioni private ai partiti, cambiano le modalità di finanziamento della politica italiana, con un quadro normativo, che, nel 2014, l’anno che ha visto il governo Letta dare vita alla legge 13, ha determinato le prime novità sostanziali in termini di risorse disponibili per le formazioni politiche italiane.
Il primo dato da rilevare, secondo lo studio appena pubblicato da OpenPolis, riferito proprio al 2014, è che i partiti sono diventati soggetto residuale del finanziamento pubblico: finiti gli anni in cui ricevevano rimborsi in media superiori ai 124 milioni di euro annui (1994-2013), nel 2014 hanno potuto contare su 9,6 milioni provenienti dal 2×1000.
Per quanto concerne i finanziamenti previsti per i gruppi parlamentari, assegnati in base al numero dei membri, la cifra complessiva è pari a quasi 50 mln di euro, tra Camera e Senato. Nel dettaglio i gruppi del Pd sono quelli che, sempre nel 2014, hanno ricevuto più contributi (14,2 milioni alla Camera, 6,2 al Senato). Seguono quelli del M5s, circa 7 ml di euro tra Palazzo Madama e Montecitorio. Una cifra poco superiore a quella ottenuta da Fi (6,6 mln). Per Area popolare introiti pari a circa 4 mln (2.061.888 Camera e 1.266.405 al Senato), per il Misto totale di 3,5 mln circa (1.473.379 + 2.070.332), Lega a quota 2 mln (996.500 + 1.046.101),Sel 1.516.359 (Camera), Scelta civica a quota 1.314.273 (Camera), Psi-Autonomie 912.731 (Camera), Fratelli d’Italia a 448.425 (Camera), Gal 840.369 (Senato). In totale il contributo medio per deputato, nel 2014, è stato pari a 47.856 euro, per senatore invece di 59.383.
In virtù dei cambiamenti normativi, le risorse ai gruppi parlamentari hanno acquisito un peso sempre maggiore a scapito dei partiti. Questi ultimi, nel 2013, hanno ricevuto attraverso i rimborsi oltre la metà del finanziamento pubblico tradizionale (54%). Una quota scesa al 29% l’anno successivo, con l’entrata in vigore della legge 13/2014. Al contrario, i gruppi parlamentari e quelli dei consigli regionali hanno incrementato la loro quota e ricevono, con dato riferito al 2014, il 64% dei rimborsi e contributi destinati alla politica.
Con l’ultima legge i rimborsi sono stati aboliti per le elezioni ma non per i referendum. La costituzione prevede che anche i cittadini possano proporre una consultazione, costituendo un comitato e raccogliendo almeno 500mila firme, con via libera finale della corte di cassazione e della corte costituzionale. A fronte di questo sforzo organizzativo, se il referendum raggiunge il quorum, il comitato può richiedere di essere rimborsato, ottenendo 1 euro per ogni firma valida raccolta, fino a un massimo di 500mila euro. Negli ultimi anni solo 4 referendum abrogativi su 21 hanno raggiunto il quorum. Per i due referendum sull’acqua pubblica il comitato per l’acqua bene comune ha ricevuto 1 milione di euro di rimborsi. Stessa cifra incassata dall’Italia dei valori per le consultazioni su nucleare e legittimo impedimento. Anche i comitati per i referendum costituzionali, che hanno raccolto le firme necessarie, possono accedere al rimborso, come accaduto nel 2006. In questo caso il rimborso è automatico, non essendo previsto il quorum.