Riforme costituzionali: il premier torna a parlare di Referendum

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renziAnche se Renzi ha deciso di allontanare nel tempo il referendum costituzionale, spostandolo addirittura a inizio novembre, continuano a imperversare le indagini demoscopiche sulle intenzioni di voto degli italiani, ancora poco informati del vero oggetto del quesito, tanto che, in buona parte, credono ancora che si debba votare pro o contro Renzi. Insomma, come dice Marco Travaglio che si tratti di un refeRenZum più che di un referendum.

CONTENUTI – Il premier ha cercato negli ultimi tempi di attenuarne il significato politico mettendo al centro i contenuti, mentre dall’altro lato gli oppositori tendono a farne uno strumento per «dare una spallata» a Renzi e al suo governo. Comunque sia è evidente che i risultati del referendum che si terrà nel prossimo autunno saranno cruciali per l’assetto del Paese. Fatto sta che la questione spacca l’Italia, tanto che, secondo le ultime rilevazioni, i favorevoli scendono al 51% e solo il 58% pensa di andare ai seggi. L’ultima valutazione, in ordine di tempo, è stata fatta da Nando Pagnoncelli amministratore delegato di Ipsos Italia.

IPSOS – In base alla sua analisi sembra che la conoscenza dei contenuti della consultazione da parte di potenziali votanti sia in tendenziale crescita, pur se rimane ancora relativamente bassa. Meno del 10% infatti dichiara di padroneggiare nel dettaglio i contenuti della riforma, mentre il 42% dichiara di essere al corrente solo dei termini generali. Siamo comunque alla maggioranza assoluta (51%) che ne sa almeno qualcosa, con una crescita di sette punti rispetto a gennaio. Ci sono differenze anche in termini di appartenenza o simpatia dei singoli rispetto a gruppi o movimenti politici. Risulta ad esempio che i più al corrente, sia pure in termini generali, della questione sono gli elettori dei partiti di governo e del M5S. Meno al corrente gli elettori di Lega e FI, mentre nel gruppo composto in larga misura da chi non vota o dagli incerti prevale nettamente l’ignoranza dei contenuti.

PARITÀ – Se si votasse oggi più della metà degli italiani (58%) sarebbe propensa a recarsi alle urne, in questo caso in modo sostanzialmente trasversale ai diversi partiti. Il Si prevale di un solo punto percentuale, sui voti validi il risultato si attesterebbe al 51% per il Si e al 49% per i No. La differenza rispetto a un analogo sondaggio effettuato a gennaio è rilevante: allora infatti i Si prevalevano nettamente, con il 57%. La crescita della partecipazione favorisce evidentemente il No: negli elettori dei partiti di opposizione in particolare, ma anche negli elettori dei partiti di centro il fenomeno è simile. Perfino nel Pd emerge un orientamento al No decisamente minoritario ma non del tutto secondario (16%). Orientamento che cresce tra i centristi alleati di governo (qui raggiunge un terzo dei voti validi). Al contrario negli elettori delle formazioni di opposizione l’orientamento al Si è apprezzabile: dal 25% circa tra leghisti ed elettori del Movimento 5 Stelle sino al quasi 40% degli elettori di FI, partito in cui è presente, anche ai vertici, una posizione se non favorevole almeno non distruttiva rispetto a questa riforma.

DISINFORMAZIONE – Resta comunque ancora un buon grado di disinformazione; la maggioranza assoluta degli intervistati pensa che i cittadini si recheranno alle urne pensando di bocciare (o approvare) Renzi e il suo governo, senza dare rilevanza ai contenuti della riforma. La percezione di crescita della politicizzazione del referendum aumenta in maniera vistosa in particolare tra gli elettori Pd.

RENZI – L’aver trasformato il referendum in un giudizio sul presidente del Consiglio, legandolo strettamente alla sopravvivenza del governo e al percorso delle ulteriori riforme, si sta rivelando un boomerang per Renzi, che cerca in ogni modo di uscire dall’angolo in cui si è cacciato con le sue stesse mani. Infatti, benché i contenuti specifici della riforma proposta siano sostanzialmente condivisi dalla maggioranza dei cittadini (in particolare la trasformazione del Senato), prevale l’idea di votare in base ai propri orientamenti politici. Per questo il premier cerca di spostare l’appuntamento referendario il più lontano possibile, per avere il tempo di riorientare il dibattito sui contenuti, estendendo magari la discussione anche alla legge elettorale che induce molti elettori a scegliere il versante del No, poiché si ritiene che concentri troppi poteri sul leader vincente senza che ci siano adeguati contrappesi.

 

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