Dpcm firmato da Conte nella notte: bar e ristoranti chiusi dalle 18. Come un coprifuoco. Misure in vigore fino al 24 novembre. Proteste

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E’ stato un blitz, quello del presidente del consiglio, Giuseppe Conte: che nella notte fra sabato 24 e domenica 25 ottobre, dopo aver rinviato l’annunciata conferenza stampa, ha firmato il Dpcm che entrerà in vigore da domani, lunedì 26 ottobre. Rimane fissata alle 18 la chiusura dei locali pubblici. E’ come un coiprifuoco, anche se la domenica e i giorni festivi bar e ristoranti potranno dunque rimanere aperti. Su questo ha pesato il parere del Comitato tecnico scientifico consegnato al governo perché secondo gli esperti «l’apertura domenicale dei ristoranti può essere utile per limitare le riunioni familiari». E proprio sulla base di queste considerazioni si è deciso di accettare la richiesta della Regioni. Resta la raccomandazione di limitare lo spostamento fra comuni. Sulla quale gli scienziati non sono d’accodo perchè, a loro parere, i dari dimostrano che i focolai si manifestano soprattutto nelle aree metropolitane. E non mancano perplessità, sempre da parte del mondo scientifico sulla decisione del governo di autorizzare le fiere internazionali.

Lo slogan del governo è «salvare il Natale», ma le proteste delle categorie economiche sono molto forti in tutto il Paese. Non mancano timori per l’ordine pubblico. La chiusura anticipata alle 18 della ristorazione, con il crollo delle attività di bar, gelaterie, pasticcerie, trattorie, ristoranti e pizzerie ha un effetto negativo a cascata sull’agroalimentare nazionale, con una perdita di fatturato di oltre un miliardo per le mancate vendite di cibo e bevande nel solo mese di applicazione delle misure di contenimento. E’ quanto emerge da una analisi delle principali organizzazioni, da Confesercenti a Confcommercio a Coldiretti, in riferimento alla all’impatto sull’intera filiera agroalimentare della chiusura di ristoranti, bar, gelaterie e pasticcerie alle ore 18 e della diffusione dello smart working che taglia le pause pranzo. Un drastico crollo dell’attività che -sottolinea la Coldiretti- pesa sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato. La spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima dell’emergenza coronavirus era pari al 35% del totale dei consumi alimentari degli italiani. Nell’attività di ristorazione sono coinvolte circa 330mila tra bar, mense e ristoranti lungo la Penisola ma anche 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,8 milioni di posti di lavoro.

Quindi e limitazioni alle attività di impresa devono prevedere un adeguato sostegno economico lungo tutta la filiera e misure come la decontribuzione protratte anche per le prossime scadenze superando il limite degli aiuti di stato", ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare la necessità di salvaguardare il sistema agroalimentare nazionale che rappresenta la prima ricchezza del paese e svolge un ruolo da traino per l’intero sistema economico Made in Italy in Italia e all’estero.

Sandro Bennucci

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