Pensioni, contributi di solidarietà: secondo la nuova Consulta sono legittimi, giustificati dalla crisi economica

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Corte-Costituzionale-Clamorosa sentenza della Consulta, che ribalta completamente le posizioni espresse da precedenti pronunciamenti dello stesso organo. I 14 giudici presenti hanno deciso che le decurtazioni alle pensioni più alte determinate dal Governo Letta attraverso i contributi di solidarietà costituiscono un sacrificio temporaneo, interno al circuito previdenziale, progressivo, ma soprattutto giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi economica, che è “grave e contingente”; e applicato solo alle fasce con assegni alti, e quindi si tratta di sacrificio sostenibile. E’ un sì a tutto tondo quello che emerge dalla decisione della Corte Costituzionale sul contributo di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro. Ma un sì basato su ragioni sociali e politiche e non giuridiche. E’ un nuovo principio, applicato per la prima volta, la situazione di crisi, secondo la Corte, che giustifica il prelievo, non la conformità delle disposizioni al dettato costituzionale. È la prima volta che accade e la Consulta sembra piegarsi al volere del Governo come non aveva mai fatto in passato. Si sancisce il diritto che essere titolari di assegni presunti ricchi, pagati in anticipo con contributi versati per una vita, costituisce un privilegio e quindi i reprobi vanno adeguatamente puniti, a vantaggio di chi non ha mai lavorato e non ha mai versato contributi, ma si trova, o meglio si troverà in condizioni disagiate. Ma per ottenere questo risultato, la Corte lo ha ripetuto più volte in passato, la via maestra, ai sensi della Costituzione, è l’intervento con la fiscalità generale, non il sacrificio delle sole pensioni. Per giustificare la nuova interpretazione la Corte ha dovuto inventarsi un nuovo principio costituzionale, la solidarietà intergenerazionale, che non mi sembra contemplata nella nostra Carta fondamentale.

Una decisione che ora dovrà essere dettagliata nella sentenza, di prossima pubblicazione, ma che è stata anticipata nei suoi contenuti essenziali, da cui risulta premiata l’idea sostenuta dall’avvocatura dello Stato di una “solidarietà intergenerazionale” per assicurare le pensioni future. Un principio non propriamente giuridico: le pensioni future non sono sostenute dai contributi versati dagli interessati e dalla fiscalità generale, ma da prelievi forzosi sugli assegni di altri pensionati. Nella norma esaminata dalla Corte, ad essere toccati sono gli assegni da 14 a oltre 30 volte il minimo Inps, con una quota progressiva del 6% per gli importi da 91.343 a 130.358 euro lordi annui; del 12% per gli assegni da 130.358 a 195.538 euro;del 18% da 195.538 euro in su. Un meccanismo inserito nella finanziaria 2014 varata dal governo Letta. Il prelievo vale per un triennio, scade a dicembre e per ora non è stato rinnovato.

La Corte ha accolto le tesi dei legali dell’Inps, che si è costituita, e dagli avvocati dello Stato, Gabriella Palmieri e Federico Basilica, che hanno rappresentato la Presidenza del Consiglio. Secondo loro, infatti, le ordinanze con cui è stata sollevata la questione di costituzionalità hanno un’impostazione “vecchia e superata”. E appellarsi all’art. 97 della Costituzione sull’equilibrio di bilancio è un errore: quell’articolo, anzi, è “uno scudo” a favore del contributo, perché sancisce che “la finanza pubblica diventa un bene da tutelare in via prioritaria”.

Proprio qui si innesta la necessità di “valutare la misura nell’ottica complessiva del sistema previdenziale e di una solidarietà intergenerazionale: la stabilità di bilancio non viene assunta come criterio astratto, ma tutto interno al sistema previdenziale, con l’obiettivo di assicurare anche in futuro gli assegni pensionistici”. Come dire che di fronte a una crisi che può mettere a repentaglio la sicurezza dei lavoratori più giovani, l’equilibrio che il sistema pensionistico deve assicurare non si ferma all’oggi, ma va proiettano sugli anni a venire. Anche perché ad essere temporaneamente toccati dal prelievo di solidarietà sono i redditi da pensione elevati, e quindi il sacrificio c’è, ma è sostenibile.

Ai lavori della Consulta non ha partecipato il giudice Giuseppe Frigo, assente per motivi di salute. C’era invece Augusto Barbera, che per motivi di opportunità aveva deciso di non presenziare ad alcune delle ultime udienze visto che è coinvolto in una questione giudiziaria in via di definizione. Quattordici, quindi, i componenti del collegio presenti, con Rosario Morelli relatore della causa.

Provvedimenti simili varati nel 2011 erano già stati esaminati dalla Consulta e dichiarati incostituzionali. Il governo Letta li aveva però riproposti con dei correttivi per riequilibrare le misure ed evitare una delle principali censure: che il prelievo di solidarietà sia assimilato ad una trattenuta di natura tributaria. La cifra che lo Stato avrebbe dovuto restituire si sarebbe aggirata sui 150 milioni complessivi, ed anche questo ha pesato forse sulla decisione della Consulta nella nuova composizione, integrata recentemente con le due ultime nomine.

Gli avvocati dei ricorrenti Vittorio Angiolini, Federico Sorrentino e Giovanni Sciacca avevano puntato sul fatto che la norma appariva minata da “irragionevolezza”. “L’irragionevolezza della misura è tutta già nel monito al legislatore contenuto nella sentenza 116 della Corte Costituzionale”, ha detto Angiolini facendo riferimento a una sentenza del 2013 con cui la Consulta aveva dichiarato incostituzionale una norma, precedente a quella oggi in esame, che istituiva un contributo di solidarietà. “Il reddito da pensione – ha aggiunto – non ha ragione di contribuire di più rispetto ad altri redditi alle entrate e uscite pubbliche. Qui invece si ha il paradosso che se si prendono più di 300mila euro di reddito non pensionistico, si concorre di meno che se se ne prendono altrettanti di pensione”. I legali quindi hanno fatto leva sul fatto che il prelievo riguardi la sola categoria dei pensionati, una modalità che la Corte Costituzionale aveva censurato nella sentenza 116.

Ma questa volta la Consulta ha fatto prevalere ragioni sociologiche, sociali e politiche, e non giuridiche, facendoci dubitare sulla obiettività di un organo che sarebbe chiamato a difendere i principi costituzionali. Non c’è più la certezza del diritto . Tutti coloro, alti funzionari dello Stato, alti dirigenti, che per oltre 40 anni hanno versato contributi pesantissimi e pagato tutte le tasse fino all’ultimo centesimo, si ritrovano adesso scippati di una cospicua parte della pensione per mano dello Stato, autorizzato e legittimato da chi dovrebbe difendere i principi sanciti dalla Costituzione.

 

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