Pubblica amministrazione: sui dirigenti la mannaia del duo Renzi-Madia. Licenziamenti più facili e indennità tolte

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renzi-madiaSei anni al massimo senza incarico poi, a seguito di una valutazione negativa del suo operato, il dirigente pubblico potrà essere messo alla porta. Nella riforma della Pubblica amministrazione non ci sono solo i licenziamenti per i furbetti del cartellino o, presto, quelli per gli assenteisti seriali o per le diserzioni di massa dal lavoro. Anche per i dirigenti è in arrivo una stretta più incisiva rospetto a quella prevista per gli altri dipendenti. Lo dispone uno dei decreti attuativi più attesi della riforma che porta la firma del ministro Marianna Madia, quello, appunto, che si occupa di dirigenza pubblica. Il testo dovrebbe essere pronto nelle prossime settimane, ma negli scorsi giorni ha iniziato a prendere forma e si sono tenute diverse riunioni a livello tecnico nelle quali è stata illustrata una prima bozza. Per ora è un’ipotesi di lavoro che dovrà essere limata, e molte parti sono ancora in bianco.

LICENZIAMENTI – Ma di certo dà un’idea di cosa cambierà per i dirigenti della pubblica amministrazione. Il nodo più delicato è, appunto, quello dei licenziamenti. Chi resta senza incarico verrà retribuito soltanto con il trattamento fondamentale, dunque non avrà nessuna indennità accessoria e nemmeno premi. Non solo. Per ogni anno che passerà senza che il dirigente abbia ottenuto una posizione nell’organigramma, il suo stipendio verrà tagliato del 10%. Il dirigente che non è riuscito a collocarsi, avrà comunque l’obbligo di partecipare ogni tre mesi ad almeno dieci avvisi pubblici di selezione, il meccanismo che sostituirà gli attuali interpelli con i quali ci si può candidare ad assumere una posizione vacante. Se non partecipa potrà essere anche in questo caso licenziato. Il ministero della Funzione pubblica potrà anche assegnare delle funzioni di staff a questi dirigenti, oppure un incarico di ufficio che tuttavia, come vale nel caso della mobilità per tutti gli altri statali, non potrà essere ad una distanza superiore a 50 chilometri dall’ultimo lavoro.

SINDACATI – Critici i sindacati dei dirigenti pubblici, che respingono nettamente quest’ipotesi. Il dirigente di domani rischia di ritrovarsi con uno stipendio di mille euro, una sorta di cassa integrazione che potrebbe finire con il licenziamento. Questo lo scenario descritto dal segretario nazionale del sindacato dei dirigenti pubblici Unadis, Alfredo Ferrante, in base alle indiscrezioni che da qualche giorno si fanno sempre più rumorose. Nelle prime bozze di decreto attuativo sulla riforma della dirigenza, spiega, sarebbe stata introdotta «una misura che prevede una decurtazione del 10% dello stipendio base per il dirigente rimasto senza incarico, per ogni anno che passa. Oggi, sottolinea, mediamente un dirigente di seconda fascia ha una remunerazione mensile di 3 mila euro e qualcosa, il tabellare è la metà, quindi 1.600-1.700 se vai a togliere per ogni anno che passa fuori dal ruolo una fetta si va a finire a mille euro. Infatti, sempre stando alle ipotesi in circolazione, si può stare fino a 6 anni senza incarico e dopo scatta il licenziamento. Attualmente invece se passi il concorso hai il diritto all’incarico». Ma per Ferrante il fatto più grave è che «si rischia di essere espulsi senza una ragione, o meglio senza una valutazione negativa: chi mi giudica – si chiede – se per sei anni non ho un incarico e me ne sto a casa?».

 

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