Palermo, migranti. Tre fermi, accusa di tratta, violenza sessuale ed altro

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La polizia di Stato di Agrigento ha eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto nei confronti di tre cittadini extracomunitari per gravissimi reati, quali associazione a delinquere, tratta, violenza sessuale, omicidio ed altro. Per la prima volta, in tema d’immigrazione,viene contestato il reato di tortura, di recente introduzione. Il provvedimento e’ stato emesso dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo ed e’ stato notificato ad un guineano e due egiziani che, al momento del fermo, si trovavano nell’hot-spot di Messina.

Gli indagati avrebbero trattenuto in un campo di prigionia libico decine di profughi, pronti a partire per l’Italia, rilasciandoli solo dopo il pagamento di un riscatto da parte delle loro famiglie. I migranti hanno raccontato di essere stati torturati, picchiati e di avere visto morire compagni di prigionia.

«Sistematiche percosse con bastoni, calci di fucili, tubi di gomma, frustate e somministrazione di scariche elettriche, ma anche ripetute minacce gravi poste in essere con l’uso delle armi o picchiando brutalmente altri migranti quale gesto dimostrativo, accompagnate dalla mancata fornitura di beni di prima necessità, quali l’acqua potabile, e di cure mediche per le malattie lì contratte o le gravi lesioni riportate in stato di prigionia- acute sofferenze fisiche e traumi psichici e un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona». Ecco alcune delle torture subite dalle vittime nei cambi di detenzione in Libia e raccontate ai magistrati della Dda di Palermo che hanno emesso 3 fermi. «La situazione veniva aggravata dal sistematico compimento, ad opera dei sodali, di continue e atroci violenze fisiche o sessuali, fino a giungere alla perpetrazione di veri e propri atti di tortura, talora culminate in omicidi, e ciò al fine di costringere i familiari dei migranti a versare all’associazione somme di denaro quali prezzo per la loro liberazione, – scrivono i pm – . Essendo questa la finalità primaria dell’associazione, cioè sequestrare e seviziare allo scopo di ottenere somme di denaro per far cessare lo stato di prigionia e le relative sevizie, l’organizzazione si era dotata di un apposito telefono di servizio, tramite cui i migranti prigionieri potevano contattare i loro congiunti, ovviamente alla presenza dei carcerieri, e così indurli a pagare il riscatto in somme di denaro per porre fine alla detenzione e alle atrocità subite spesso documentate tramite l’invio di fotografie», raccontano i magistrati nel provvedimento di fermo.

Il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, afferma: «Questo lavoro investigativo suscettibile di ulteriori importanti sviluppi, ha dato conferma delle inumani condizioni di vita all’interno dei cosiddetti capannoni di detenzione libici e la necessità di agire, anche a livello internazionale, per la tutela dei più elementari diritti umani e per la repressione di quei reati che, ogni giorno di più, si configurano come crimini contro l’umanità».

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