L’arcivescovo metropolitano di Palermo Corrado Lorefice nel corso della omelia per la Patrona di Palermo, Santa Rosalia torna sul tema dei migranti e parla di «ddell’arcivescovo metropolitano di Palermo Corrado Lorefice nel corso della omelia per la Patrona di Palermo, Santa Rosalia. Parla di “campi di concentramento libici” che
“continuano la loro sistematica distruzione nazista dell’umano con la nostra colpevole complicità”, “dei popoli dell’Africa e del Sud del pianeta martoriati dallo sfruttamento dell’Occidente, ridotti allo stremo e alla morte, lo sgomento davanti a tutti i corpi viventi che finiscono la loro avventura nel non senso, nell’abisso del nulla”.
“Sia la nostra Città, sia la Chiesa di Rosalia e di Pino Puglisi, per questi corpi, accolti nell’arca, l’Angelo della custodia e della speranza. Perché noi non ci nascondiamo il volto terribile e angosciante della storia – dice- Eppure – e mi rivolgo a tutti i credenti di questa piazza, a tutti i giusti, a tutti i testimoni del
bene – mentre gridiamo raccolti attorno a questi corpi e con loro, alzando la nostra voce verso il cielo, sappiamo, al di là di ogni apparente evidenza, che c’è speranza. Noi infatti crediamo nei corpi, ed è questa fede che portiamo stasera, che da vescovo sento di dover gridare in questa nostra piazza”, ridotti allo stremo e alla morte, lo sgomento davanti a tutti i corpi viventi che finiscono la loro avventura nel non senso, nell’abisso del nulla. Sia la nostra Città, sia la Chiesa di Rosalia e di Pino Puglisi, per questi corpi, accolti nell’arca, l’Angelo della custodia e della speranza. Perché noi non ci nascondiamo il volto terribile e angosciante della storia – dice- Eppure – e mi rivolgo a tutti i credenti di questa piazza, a tutti i giusti, a tutti i testimoni del bene – mentre gridiamo raccolti attorno a questi corpi e con loro, alzando la nostra voce verso il cielo, sappiamo, al di là di ogni apparente evidenza, che c’è speranza. Noi infatti crediamo nei corpi, ed è questa fede che portiamo stasera, che da vescovo sento di dover gridare in questa nostra piazza».