Ricollocamento migranti: il fallimento totale delle politiche dell’Unione europea, Realizzato solo il 44 % del progetto

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Da tempo è noto che i1 meccanismo di mutuo soccorso dell’Unione Europea sui migranti, i famosi ricollocamenti dall’Italia e dalla Grecia sono stati un completo fallimento. Suddividersi i richiedenti asilo in fuga da guerre e carestie in giro per il mondo, per evitare il rischio di vederlo diventare, o rimanere, un problema dei soli paesi di primo arrivo come Grecia e Italia, come in effetti è avvenuto: era questa la linea guida del ricollocamento, stabilito con la decisione del Consiglio dell’Unione Europea del 22 settembre 2015.

Quel documento prevedeva la distribuzione di 120.000 migranti, 28.000 dal nostro Paese: una soluzione arrivata dopo «aver riconosciuto l’eccezionalità dei flussi migratori di quell’anno e la crisi nel Mediterraneo», come si legge nel documento condiviso da 23 Stati dell’Unione, ad eccezione di Regno Unito, Irlanda e Danimarca. Accettarono tutti gli altri, sottolineando come premessa all’accordo «la necessità di fondare la risposta alle tragedie nel Mediterraneo sul principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità». Frasi sottoscritte anche da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. I quattro stati del blocco di Visegrad avrebbero dovuto prendersi carico di circa 4mila richiedenti asilo, Polonia in testa con una quota di oltre 2mila migranti: la somma dei quattro, alla fine di tre annidi programma, è di zero richieste accolte.

Ma non sono gli unici Stati ad aver fatto quasi nulla rispetto a quanto promesso, e sottoscritto: solo il 44% dei trasferimenti inizialmente previsti sono effettivamente avvenuti. Tra chi ha rispettato meno i propri impegni ci sono anche l’Austria, che ha accolto solo 45 migranti sui quasi 900 previsti, e la Bulgaria appena 10 su 300. Percentuali sotto la doppia cifra sono anche quelle di Romania (4%), Estonia (7%) e Croazia (9%). Poco sopra si trova la Francia, che ha negato il ricollocamento di 5.000 persone, mentre ha decisamente fatto meglio la Germania, lo Stato che più si era impegnato, con una quota di oltre 7mila migranti, alla fine ne ha accolti 5.446 (74%).

L’optimum della solidarietà èsi registra nel Nord Europa: Finlandia e Svezia sono andati addirittura oltre le promesse, accogliendo rispettivamente 779 e 1392 richiedenti asilo. E la Norvegia, pur fuori dall’Ue, ha preso in carico 693 richieste; la Svizzera, sempre da esterna, ha accolto 580 persone.

Anche Malta, prima di diventare un paese di sbarco,ha accolto l’arrivo di 67 persone contro le 31 previste. Quella procedura di ricollocamento fu decisa con un atto almeno sulla carta vincolante, e non su base volontaria come quelli relativi agli sbarchi dell’ultimo periodo. L’iter da seguire era molto chiaro. Ogni tre mesi gli Stati membri dovevano indicare il numero di migranti che sarebbero stati in grado di ricollocare.

Dopo l’arrivo in territorio italiano (o greco), dove il richiedente asilo era identificato e registrato tramite il rilevamento delle impronte digitali, venivano dati due mesi di tempo per completare la procedura: lo Stato in questione diventava così responsabile della richiesta d’asilo, liberando i paesi di arrivo di un ulteriore passaggio burocratico. Il Consiglio dell’Ue inserì un criterio molto stringente: poteva essere ricollocato solamente il richiedente asilo proveniente da una nazionalità con un alto tasso di accettazione (il 75%) delle richieste di protezione internazionale. Una percentuale che ha portato a distribuire nel Continente soprattutto migranti provenienti da Eritrea e Siria, dove nel 2015 le condizioni di partenza erano tali da rendere quasi certo l’esito positivo del processo. L’Europa si impegnò anche a riconoscere al paese membro di destinazione 6.000 euro per ogni migrante accolto, dedicando potenzialmente a questo programma 700 milioni di euro. Ma questo non è bastato a convincere molti Stati della necessità di impegnarsi nella ricollocazione. E così più della metà delle procedure sono rimaste bloccate. Tanto che Italia e Grecia ne pagano ancora le conseguenze.

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