Pubblica amministrazione: licenziamento più semplice, nuove regole per i concorsi

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Il Messaggero, sempre bene informato sulle questioni giuridiche ed economiche degli statali, rivela che, nella riforma della pubblica amministrazione sarebbe spuntata anche una nuova regola sulla licenziabilità dei dipendenti pubblici. Una possibilità che già esiste, in quanto anche attualmente il personale «in disponibilità», quello cioè considerato in esubero, se non trova una nuova collocazione entro 24 mesi può essere mandato a casa.

La novità è che il licenziamento arriverà anche se il dipendente «rifiuta» due proposte di ricollocazione presso altre amministrazioni. Per adesso è una norma solo teorica, anche perché di personale pubblico in esubero non ce n’è. Ma da tempo le amministrazioni dovrebbero consegnare al ministero della Funzione pubblica la mappa dei fabbisogni, necessaria tra le altre cose, anche a bandire il nuovo concorso unico. Si tratta di un’altra delle novità contenute nella bozza di «disegno legge recante deleghe al governo per il miglioramento della Pubblica amministrazione».

Le novità non sono poche. A cominciare, appunto, dal «concorsone» per le nuove assunzioni nel pubblico impiego che, nei prossimi anni, dovrà rafforzare i suoi ranghi di 450 mila persone grazie allo sblocco del turn over e ai pensionamenti anticipati di «Quota 100». Il concorso unico non sarà obbligatorio solo per le amministrazioni centrali, ma anche per Comuni, Città metropolitane, Comunità montane e Province. Un discorso a parte, invece, vale per le Regioni, che hanno una loro autonomia e possono reclutare con concorsi autonomi ad hoc. Per quelle però, che sceglieranno di reclutare dipendenti e dirigenti con il concorso unico, potranno aumentare il numero delle assuzioni rispetto a quelle a cui avrebbero diritto. Per selezionare i candidati ci saranno prove differenziate di tipo teorico e pratico.

Sia nella fase di reclutamento che in quella delle progressioni di carriera, inoltre, saranno effettuate delle «verifiche psico-attitudinali» finalizzate all’accertamento anche del possesso di adeguate capacità relazionali. Non solo. Per «rafforzare lo spirito di servizio dei dipendenti pubblici» sarà esteso l’obbligo di giuramento.

Per i dirigenti vengono riscritte, ancora una volta, le regole sulla valutazione e sul merito. Nel dare i voti ai dirigenti pubblici, saranno chiamati anche gli «utenti» destinatari dei servizi e che sono in rapporto diretto con l’amministrazione. La valutazione, inoltre, potrà essere in parte affidata a soggetti esterni alla pubblica amministrazione. Il dirigente che poi non differenzia adeguatamente il voto per i dipendenti sotto la sua gestione, si vedrà ridotto il premio di risultato. Un meccanismo per evitare che tutti i dipendenti prendano il massimo dei voti (e dei premi economici).

Anche per il reclutamento dei dirigenti ci saranno delle novità. I concorsi saranno affidati esclusivamente alla Scuola Nazionale dell’amministrazione. La valutazione dei requisiti di capacità ed esperienza avrà lo stesso peso sia che i partecipanti arrivino già dalla pubblica amministrazione, sia che arrivino dal privato. Ma ci sarà comunque un concorso per titoli ed esami che sarà riservato ai dipendenti pubblici che abbiano conseguito le valutazioni migliori nell’ultimo triennio. Torna poi il principio della rotazione degli incarichi, inserito anche nella vecchia riforma bocciata dalla Consulta.

I dirigenti potranno essere riconfermati nell’incarico nel quale sono stati assegnati solo una volta senza interpello. C’è poi una norma che rafforza la lotta all’assenteismo. La scarsa produttività delle risorse assegnate, se dipende da fenomeni di assenteismo, sarà considerata come responsabilità sia disciplinare che dirigenziale.

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Sarà l’ennesimo tentativo, probabilmente destinato all’insuccesso, di ammodernare la pubblica amministrazione, finalità alla quale tutti i Governi, da 60 anni a questa parte, hanno dato la priorità, senza mai riuscire a centrare l’obiettivo.

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