Progetto UE Lifepath: i 60enni in condizioni di disagio vivono almeno 7 anni meno degli altri

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I sessantenni che vivono in condizioni socioeconomiche svantaggiate invecchiano più velocemente e perdono fino a 7 anni di vita. E’ quanto emerge da una ricerca di ”Lifepath”, un progetto finanziato dalla Commissione europea per individuare i meccanismi biologici alla base delle differenze sociali nella salute.
Lo studio, a cui ha partecipato anche l’Università degli Studi di Torino, è stato condotto su 109.107 uomini e donne di età compresa fra i 45 e i 90 anni, provenienti da Europa (Italia inclusa), America Latina, Africa, Asia e Stati Uniti.
“Il nostro studio conferma che le avversità socioeconomiche sono un potente fattore di rischio che può avere un impatto molto intenso sulla qualità dell”invecchiamento”, dice Silvia Stringhini, ricercatrice all’University Hospital di Losanna, in Svizzera, e coordinatrice dello studio. “Ricerche precedenti avevano mostrato che diversi fattori di rischio, inclusa la condizione socioeconomica, tendono ad accumularsi negli stessi individui. I nostri risultati, invece, ci suggeriscono che
l”associazione fra un basso profilo occupazionale e il calo nella qualità dell”invecchiamento non è dovuta ad altri fattori di rischio”.
Secondo la ricerca, uomini di 60 anni che vivono in condizioni precarie (per esempio, svolgendo lavori manuali) hanno lo stesso livello di funzionalità fisica di uomini di 66,6 anni con condizioni economiche sono migliori. Nelle donne questo calo è di 4,6 anni. L”invecchiamento precoce dovuto alle condizioni economiche sfavorevoli è paragonabile agli effetti negativi sulla qualità della vita dovuti all”obesità, al diabete e alla scarsa attività fisica, ed è invece maggiore rispetto agli effetti di ipertensione e consumo di tabacco.

Questa notizia ci fa dubitare sull’utilità di certi studi e dei relativi finanziamenti elargiti a piene mani dalla generosa Unione europea,perché, al di là della pregevole ricerca che ha fatto emergere alcuni dati importanti, mi sembra che la sostanza delle cose abbia confermato una verità lapalissiana ben conosciuta anche dai nostri nonni, senza bisogno di ricerche e utilizzo di fondi comunitari.

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