Hikikomori, problema sociale: già 100.000 giovani italiani si isolano e non hanno contatti esterni se non attraverso internet

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Confesso che quando ho letto, recentemente, per la prima volta un articolo sul fenomeno degli “Hikikomori” sono rimasto sconcertato. Si tratta di un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte” e viene utilizzato per fare riferimento a chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria camera da letto e senza aver nessun tipo di contatto con il mondo esterno, se non tramite internet.

Il fenomeno è sconosciuto, quasi “invisibile” come i soggetti che ne soffrono e colpisce più adolescenti (anche italiani) di quanto si possa immaginare. Non li vediamo perché la loro vita si svolge interamente in una stanza: la loro camera da letto. Si rifiutano di uscire, di vedere gente e di avere rapporti sociali. In quella stanza leggono, disegnano, dormono, giocano con i videogiochi e navigano su Internet. Ma soprattutto proteggono loro stessi dal giudizio del mondo esterno.

Osservato inizialmente in Giappone, il fenomeno è ancora poco sconosciuto, nonostante si stia rapidamente diffondendo in tutte le società economicamente sviluppate del mondo, Italia compresa, dove stime non ufficiali sostengono esserci almeno 100 mila casi. La disinformazione sul tema fa si che non ci siano aiuti concreti per i ragazzi che si ritrovano in questa condizione e per le loro famiglie. Gli stessi addetti ai lavori tendono a confondere l’hikikomori con altre psicopatologie, in particolare con la depressione e la dipendenza da internet.

Al momento in Giappone ci sono oltre 500.000 casi accertati, ma secondo le associazioni che se ne occupano il numero potrebbe arrivare addirittura a un milione (l’1% dell’intera popolazione nipponica). Nel nostro Paese, secondo Hikikomori Italia, alcune stime (non ufficiali) riportano almeno 100.000 casi. “La maggior parte dei ragazzi hanno tra i 15 e i 25 anni, ma non mancano casi più giovani o più adulti. Provengono da famiglie benestanti e spessissimo sono figli unici in quanto subiscono le maggiori aspettative genitoriali. In moltissimi casi sono figli di genitori separati. Sono ragazzi molto intelligenti, che non hanno alcun problema a livello scolastico e che hanno poco in comune con i compagni di classe”.

L’obiettivo che adesso perseguono alcune famiglie e associazioni interessate, in supplenza delle pubbliche autorità, è proprio quello di sensibilizzare sul fenomeno del ritiro sociale volontario, indagando l’incidenza, le manifestazioni e le possibili cause, con il proposito di analizzare le risorse scolastiche, formative e socio sanitarie disponibili e instaurare un dialogo costruttivo tra le istituzioni con il coinvolgimento attivo delle famiglie per predisporre strumenti di intervento adatti a far fronte a una emergente crisi sociale. Il 20 febbraio, all’Istituto Avogadro di Torino, si terrà un seminario sul fenomeno degli hikikomori (isolamento sociale volontario), per cercare di trovare una strategia di studio e comprensione del fenomeno, e studiare adeguate contromisure.

La giornalista Anna Maria Caresta ha indagato sul fenomeno in Italia e in Giappone e ha scritto “Generazione hikikomori”, saggio-inchiesta appena uscito per Castelvecchi editore. Un libro che è anche un viaggio attraverso il Giappone, paese che per primo ha vissuto e studiato questo disagio, e l’Italia. Ed è il racconto di una generazione che è prigioniera in casa, giovani dai 12 ai 30 anni, e oltre, che si sono tagliati fuori dalla vita civile.
Nel libro, le interviste agli hikikomori, ma anche agli operatori, ai monaci buddisti e ai medici che se ne prendono cura, con vari metodi, e un tuffo nei manga e negli anime, cari ai ritirati sociali (grazie ai quali si stanno sperimentando nuove terapie). “Spero – dice ancora la giornalista – che questo grido di allarme dei giovani venga colto dalle famiglie, dalla scuola e da tutte le istituzioni”.

Paolo Padoin

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