La Chiesa scopre che i giovani oggi stanno peggio dei loro nonni, e chiede giustamente di intervenire

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Monsignor Nunzio Galantino, segretario Generale cei, ci annuncia che i figli stanno peggio dei genitori e perfino dei nonni, e quindi occorre ridare speranza ai giovani in un’Italia che, secondo lui va al rovescio, visto che lascia in povertà relativa le nuove generazioni rispetto a quelle precedenti. L’ultimo rapporto della Caritas sul tema mostra che un giovane su dieci è indigente. Non è una proporzione terrificante, ma è peggio che in passato, prima della crisi questo rapporto era 1 su 50. Si pensa al futuro con lo sguardo rivolto indietro, dice il Monsignore, e si considerano le generazioni precedenti come bastone della gioventù. È infatti la generazione degli under35 a vivere nel nostro Paese la condizione di maggiore difficoltà economica e troppo spesso a scendere sotto la soglia di povertà, così come i bambini. La povertà, in sostanza, «tende a crescere con il diminuire dell’età».

E meno male che ci sono i nonni che danno sostegno alle famiglie di figli e nipoti, diciamo noi, anche se Tito Boeri, Giorgia Meloni, Mario Giordano e l’intera sinistra predicano da tempo lo sterminio (si spera solo finanziario) dei vecchi che loro ritengono benestanti, con pensioni lorde oltre 3.000 euro mensili.

Nell’ultimo decennio l’incidenza della povertà tra i giovani (18-34 anni) è passata dall’1,9% al 10,4% (in generale l’indigenza assoluta è aumentata del 165%). Primo errore da evitare, secondo monsignor Galantino, è quello di distinguere tra la povertà degli «autoctoni» e quella degli stranieri. Ovvio, i migranti debbono essere tenuti in primaria considerazione. Questa differenziazione «la lasciamo fare soltanto a chi è abituato a fare letture interessante e strumentalizzate delle vicende umane. La povertà non ha colore», dice il Monsignore. E di fronte a dati tanto netti, secondo il segretario generale della Cei, compito della Chiesa è «non smettere mai di andare per le strade per dare aiuto in nome del Vangelo e di Cristo».

Donne (62%), giovani (22%), spesso del Sud (39%), con un titolo di studio basso (68%), disoccupati (70%), con figli (60%). Sono queste le caratteristiche dei giovani e meno giovani che si rivolgono ai centri d’ascolto Caritas sul territorio, ricorda il direttore della Caritas italiana, don Francesco Soddu. Che suggerisce: «i giovani non sono soltanto i destinatari di azioni di tutela, ma possono divenire motori del cambiamento, purché si abbandoni la politica degli aiuti a pioggia puntando invece alla cura del capitale formativo». Belle parole, suggerimenti corretti, ma come al solito mancano le risorse.

Il Governo cerca di fare qualcosa non solo con l’applicazione del REI, il nuovo sussidio contro la povertà che verrà erogato dal gennaio 2018, ma anche dando il via libera al fondo da 91 milioni per il Terzo settore attraverso un prossimo atto d’indirizzo. Che costituisce «il primo importante provvedimento applicativo della riforma del Terzo settore», come lo ha definito il sottosegretario al Lavoro e politiche sociali, Luigi Bobba. In contemporanea è stato pubblicato l’avviso pubblico con cui ben 44,8 di quei milioni andranno a finanziare progetti di rilevanza nazionale presentati da organizzazioni di volontariato (odv), associazioni di promozione sociale (aps) e le fondazioni del terzo settore, da soli o in partnership tra loro, sperando che questi fondi non arricchiscano e foraggino le organizzazioni stesse, ma servano soprattutto agli assistiti.

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