Pensioni: dopo il taglio dei vitalizi la politica riflette sulle pensioni degli ex dipendenti del Parlamento

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Dopo che è passata alla Camera la pdl Richetti che tronca i vitalizi degli ex parlamentari, si riflette sulle spese pensionistiche del Parlamento e, esaminando il bilancio di quegli organi, emerge la spesa pensionistica degli ex dipendenti della Camera che, nel 2019 (il bilancio è triennale), raggiungerà la vetta di 281 milioni di euro.

SPESE – Nel 2019, infatti la Camera spenderà per i propri ex (dipendenti o politici) la bella somma di 423 milioni che ammontano al 45% (44,8 per l’esattezza) dei 943 milioni della spesa globale di funzionamento. In altre parole su ogni euro disponibile per la Camera quasi 50 centesimi saranno girati a pensionati. Si tratta di una percentuale enorme, visto che sull’intera spesa pubblica italiana (pari a circa 830 miliardi) le pensioni incidono per il 30% del totale.

CAMERA – Gli ex deputati che godono del vitalizio (abolito dal 2012 per gli attuali eletti) sono 1.550 e mediamente ricevono 90.000 euro lordi ognuno. Va detto però che da pochi mesi sui loro assegni è stato imposto dall’Ufficio di presidenza un contributo di solidarietà triennale che ha fatto scattare una sforbiciata fra i 300 e gli 800 euro mensili per quelli più alti. Risultato: un risparmio di 2,4 milioni. Gli ex dipendenti della Camera a riposo invece sono 4.700 e a loro spetta un assegno annuale medio di 55.000. Un ristretto lotto di rendite previdenziali supererebbe però i 350.000 euro lordi.

ASSEGNI – Questi assegni sono però calcolati in proporzione ai livelli altissimi degli stipendi dei dipendenti, e per l’anno in corso vengono elargiti ai dipendenti stipendi per un totale di 260 milioni; visto che il numero attualmente è di 1.300, a testa in media costeranno al contribuente 200.000 euro lordi l’anno, e questo può giustificare il livello degli assegni pensionistici citati, in proporzione ai contributi che ogni mese vengono versati.

PENSIONI D’ORO – E’ lo stesso ragionamento che viene sostenuto dai difensori delle cd. pensioni d’oro, di coloro che hanno versato per più di 40 anni fior di contributi, che sono assolutamente proporzionati, salvo eccezioni, all’ammontare degli assegni percepiti. I calcoli del bocconiano presidente Boeri, in virtù dei quali ci sarebbe una sproporzione fra contributi versati e assegni percepiti, sono stati fatti sulla base di esempi – limite, di qualche dipendente che lascia il lavoro a 58 anni, con un ammontare della contribuzione versata evidentemente non altissimo. Ma se si fa il calcolo di alti funzionari dello Stato che sono andati in pensione dopo 45 anni di servizio (e conseguentemente di pagamento di altissimi contributi e tasse) si vedrà che un calcolo puntuale fra contributi versati e assegni percepiti probabilmente dovrebbe far pendere la bilancia verso addirittura un aumento degli assegni erogati. Tenuto conto soprattutto del fatto che la pensione è calcolata su 40 anni di contributi, per cui i soggetti in questione avrebbero regalato al prof. Boeri addirittura 5 anni di contributi, per non parlare dei magistrati che, andando in pensione oltre i 70 anni supererebbero addirittura questo record. Sono questioni sulle quali i vari Boeri, Meloni, Giordano sorvolano scientemente, consapevoli della frode che sarebbe consumata ai danni degli interessati, preferendo alimentare il populismo previdenziale, colpire nel mucchio e tagliare gli assegni in percentuale a tutti indistintamente, indipendentemente dai contributi versati. Per favorire ed ingrassare chi questi contributi non li ha mai versati o li ha versati in misura ridicola.

 

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