Concorso cancellieri: tutto sospeso dal giudice del tribunale di Firenze che accoglie il ricorso di una cittadina albanese

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Il giudice del Lavoro di Firenze rischia di mandare a carte quarantotto il faticoso concorso per 800 posti di cancelliere, per il quale si sono appena concluse le prove preselettive. Si tratta di un esempio eloquente di come la giustizia, ordinaria e amministrativa, può intervenire a suo piacimento e a suo arbitrio nelle procedure dei concorsi pubblici, sconvolgendone il decorso. Tanto più che in questa vicenda, per due casi sostanzialmente analoghi, il giudice civile e quello amministrativo hanno espresso giudizi diametralmente opposti. Alla faccia della certezza del diritto, ma i nostri legulei sono abituati a spaccare il capello in quattro, con questi bei risultati.

Ma torniamo al concorso per cancellieri. Oltre al caos causato dai quiz incompleti o errati diramati dal ministero è successo che una signora albanese poco più che trentenne, Mehillaj Orkida, ha fatto ricorso contro il requisito della cittadinanza italiana previsto dal bando. La causa è stata trattata dal giudice del lavoro di Firenze, che sabato 27 maggio ha accolto il ricorso, intimando al ministero di Giustizia di riammettere al concorso (sia pure con riserva) non solo Orkida, ma anche i candidati comunitari e quelli non comunitari in regola con i permessi. Ha inoltre ordinato la sospensione del concorso «sino alla conclusione del giudizio di merito in modo da permettere ai cittadini comunitari e agli stranieri rientranti in una delle categorie previste dall’articolo 38 del decreto legislativo 165/2001 di essere rimessi in termini per la presentazione della domanda e partecipare con riserva al concorso».

Il Ministero ovviamente ha proposto immediatamente ricorso e l’udienza si terrà il prossimo 6 giugno.

Viene spontanea l’assimilazione con la bocciatura inflitta dal Tar del Lazio alle nomine dei direttori stranieri dei musei fatte dal ministero dei Beni culturali. Il Tar ha argomentato che quello stesso articolo 38 del decreto 165 citato nella sentenza favorevole all’albanese Orkida stabilisce che i cittadini dell’Ue possono accedere ai posti della pubblica amministrazione a patto che ciò non implichi «esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri» o che non impatti con la «tutela dell’interesse nazionale».

Nella causa di lavoro intentata dalla cittadina albanese il ministero della Giustizia si è opposto ricordando che un decreto di palazzo Chigi del 1994 stabilisce che per posti come quelli nel settore giudiziario non si può prescindere dalla cittadinanza italiana. Tanto più perché il famoso decreto 165 stabilisce il principio della «tutela dell’interesse nazionale». Tesi respinta dalla giudicessa fiorentina, secondo il cui giudizio «il vincolo della cittadinanza italiana stabilito nel 1994 e applicato ai cancellieri dei tribunali non pare compatibile con la giurisprudenza comunitaria e con la nozione restrittiva che presuppone l’esercizio di pubblici poteri». E’ necessario quindi valutare «in concreto e non in astratto» se un determinato posto pubblico costituisca o meno esercizio di pubblici poteri: tenendo presente che «le norme della Corte di giustizia» europea «prevalgono sulle norme nazionali contrastanti».

A questo punto tutto torna in alto mare, e anche le comunicazioni del ministero risultano inutili. Comandano i giudici.

 

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