Com’è andata? Il coro che si alza dal vertice Nato dell’Aja risponde all’unisono: “Tutto ok”. Donald Trump è venuto, ha visto, ha vinto. E la Nato è sopravvissuta. L’accordo per aumentare le spese al 5% – nella famosa divisione del 3,5+1,5 per cento – è stato approvato dai leader, confermando così l’intesa raggiunta nei giorni scorsi al livello di sherpa. Il testo della dichiarazione finale prevede che gli “alleati stanzieranno almeno il 3,5% del Pil annuo, entro il 2035, per finanziare i requisiti fondamentali della difesa e per soddisfare gli obiettivi di capacità della Nato”.
La menzione dei target permette a Pedro Sanchez di cantare vittoria, perché ritiene di poter espletare i suoi obblighi col 2,1%, così come calcolato (dice) dai militari. Trump ha scelto di non far saltare il tavolo. Però ha messo nel mirino la Spagna. “È terribile, non vuole pagare la sua quota, le applicheremo dazi doppi”, ha dichiarato The Donald in conferenza stampa. Non si è fatta attendere la risposta di Madrid: “I negoziati sui dazi si fanno con l’Unione europea”.
Per capirci qualcosa, bisogna concentrarsi sullo strabismo che ha caratterizzato il vertice, che resta a modo suo veramente storico. Da una parte c’è il comunicato finale: 5 paragrafi rispetto ai 44 di Washington e 90 di Vilnius. Qui carta canta e i desiderata degli Usa hanno trovato pienamente spazio. La Russia viene definita sì “una minaccia di lungo termine” ma non ci sono riferimenti alla guerra di aggressione in Ucraina, proprio per non disturbare il processo di pace immaginato da Trump.
Gli alleati poi “ribadiscono il loro impegno sovrano a fornire sostegno” a Kiev – ovvero, tradotto dal diplomatichese, ognuno fa come gli pare, specie gli Stati Uniti – ma, allo stesso tempo, il principio del “percorso irreversibile” verso la Nato scompare del tutto, proprio come chiesto dagli Usa. “Non c’è dubbio che Mosca prenderà nota, perché per loro i documenti valgono di più delle parole”, commenta un’alta fonte alleata.
Ecco, poi ci sono per l’appunto le dichiarazioni. Rutte, come peraltro il premier britannico Keir Starmer, ha assicurato che le promesse fatte a Kiev in passato “restano valide”. Volodymyr Zelensky, ha rimarcato, può essere “sicuro del nostro sostegno, qui è tra amici”. Soffermandoci un attimo sul dossier ucraino possiamo notare diversi dettagli significativi. Zelensky, al contrario di quanto accaduto al G7, è riuscito a incontrare Trump a quattr’occhi e si è detto soddisfatto: “È stato un confronto lungo e significativo, abbiamo affrontato tutte le questioni veramente importanti”.
Trump lo ha confermato: “Non avrebbe potuto andare meglio, Zelensky vuole vedere la fine del conflitto”. Vladimir Putin, nella nuova narrazione, viene infatti bollato come “mal consigliato”. Il tycoon ha persino aperto alla possibilità di fornire nuove batterie di Patriot a Kiev. “Vediamo cosa riusciamo a fare, sono molto difficili da ottenere”, ha detto in una conferenza stampa fiume in cui ha spaziato dall’Iran al conflitto tra Congo e Ruanda, dal suo rapporto con Rutte – c’è chi storce il naso per le sue continue adulazioni, ma non certo Trump – a Gaza. Zelensky, infine, ha avuto un mini vertice con i Paesi dell’E5 (Francia, Germania, Polonia, Regno Unito e Italia, in pratica il direttorio dei volenterosi), in cui ha incassato la promessa di “nuove sanzioni alla Russia”.
Tutto considerato, insomma, è il massimo che si poteva ottenere. Soprattutto, sia nel comunicato finale che nelle affermazioni di Trump, viene riaffermato il principio sacro dell’uno per tutti e tutti per uno, ovvero l’articolo 5, che sta alla base della Nato. “Ho visto l’amore che i leader hanno per i loro Paesi, li vogliono proteggere e senza gli Usa non sarebbe lo stesso”, ha concesso Trump dicendosi al tempo stesso “entusiasta” per i risultati del summit, che finalmente solleverà gli Usa da “un peso ingiusto”. “Ed è merito mio”, ha concluso. Sanchez, dal canto suo, ha rivendicato il diritto ad avere un percorso diverso, che premi “la Spagna e il welfare”.
“Con Madrid tratteremo direttamente”, ha tagliato corto il presidente Usa, interessato chiaramente ad incassare il “successo monumentale” del summit dell’Aja. L’arabesco diplomatico del comunicato finale mette sullo stesso piano il 3,5% e il raggiungimento degli obiettivi di capacità Nato, e questo vale per tutti. L’Alleanza sostiene che appunto ci vorrà il 3,5%, mentre Madrid si discosta con “una scelta sovrana”, optando per lo scontro con gli Usa. Ebbene, ora inizia il lavoro vero. Perché, come ha ricordato Rutte, adesso bisogna “attuare le decisioni” e i politici dovranno compiere “scelte dure” per trovare i quattrini. A regime si tratta di 1.000 miliardi di dollari in più all’anno.
MELONI – Sotto il documento che sancisce questa svolta storica per l’Alleanza Atlantica, siglato nella città olandese, c’è anche la firma dell’Italia e della premier Giorgia Meloni, che legge l’esito del summit come un segnale di “compattezza” dell’Alleanza e della sua volontà di “rafforzarsi”.
Non sono mancate, tuttavia, tensioni tra i partner sull’opportunità di aumentare gli sforzi in materia di difesa. La Spagna di Pedro Sánchez si è inizialmente opposta, incassando una dura reprimenda da parte di Trump, che ha definito “terribile” la posizione di Madrid e ha minacciato ritorsioni, sotto forma di raddoppio dei dazi. Alla fine, però, come ha ricordato Meloni, anche il governo spagnolo ha dato il via libera alla dichiarazione finale. “La stessa che abbiamo firmato noi. E non mi pare di aver sentito nell’intervento di nessuno questa mattina, in assemblea, dei toni polemici o dei distinguo”, ha fatto notare la premier, replicando alle opposizioni – in particolare a Elly Schlein – che la sollecitavano a seguire l’esempio iberico.
A margine del vertice, Meloni ha tracciato un bilancio dell’incontro, confermando che l’Italia farà la sua parte sull’aumento delle spese militari. Il 5% del Pil che i Paesi si impegnano a raggiungere in dieci anni è composto da un 3,5% per la difesa in senso stretto e da un 1,5% destinato, tra le altre cose, alla protezione delle infrastrutture critiche, alla sicurezza delle reti, alla “resilienza civile” e al rafforzamento della base industriale del comparto difesa.
Nel 2029 è previsto un punto di verifica di questo accordo. La premier ha voluto però sottolineare come lo sforzo sia compatibile con i conti pubblici: “Non distoglieremo neanche un euro dalle altre priorità del governo a difesa e a tutela degli italiani”. Un messaggio rivolto non solo alle opposizioni, ma anche a chi, all’interno della maggioranza, come il leghista Alberto Bagnai, ha definito irrealistico il traguardo del 5%. “Io vengo qui con una risoluzione votata da tutta la maggioranza: è una decisione che noi abbiamo preso con cognizione di causa, facendo le nostre valutazioni, col ministro dell’Economia”, ha ribadito Meloni, aggiungendo che sulle spese “ci sarà una flessibilità totale”.
Sandro Bennucci