C’è polemica, ma anche indignazione, nella famiglia di Giulio Andreotti e nella vecchia guardia Dc, dopo le parole di Rita Dalla Chiesa, in Tv durante la trasmissione "Tango", che aveva lasciato intendere che l’omicidio di suo padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982, quand’era prefetto di Palermo, sarebbe stato "il favore a un politico".
Solo fango, replica puntuta la vecchia guardia democristiana: ieri Gianfranco Rotondi che ha anche promesso vie legali contro Rita Dalla Chiesa (cosa esclusa invece dal figlio dello statista Dc), oggi, 22 settembre 2024, Carlo Giovanardi che punta invece il dito contro il "modo barbaro di fare giornalismo, costruito sulla pelle di chi non si può più difendere e sempre rivolto ad infangare la grande storia della Dc".
Giulio Andreotti
Misurata e cortese la posizione del figlio di Stefano Andreotti, che si dice "addolorato" per le accuse: "Ogni tanto la figlia" del generale Dalla Chiesa "dice queste cose. Non so perché, ma non è una novità. Capisco umanamente che quando ti uccidono in modo così crudele un genitore è qualcosa che ti colpisce per sempre in maniera indelebile. Ma le sue accuse sono cose basate sul nulla. E questo mi dà dolore – ribadisce – perché vuol dire he non sono bastati i tanti anni trascorsi, né i processi ai quali è stato sottoposto mio padre, né le audizioni nelle quali ha spiegato più volte la verità dei fatti".
Il figlio del 7 volte presidente del consiglio, afferma anche che "nessun dissidio" ci sarebbe stato tra Andreotti e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Stefano Andreotti assicura che "nessun astio c’era tra il padre e il generale dei carabinieri". Anzi: a supporto dei rapporti cordiali tra i due, dopo essersi affidato ai suoi ricordi, in lunghe interviste rilasciate a giornali e agenzie di stampa, il figlio di Andreotti rende noto uno scambio di lettere del 1979.
Nella prima lettera -datata 3 settembre 1979- Giulio Andreotti scrive di aver apprezzato la sua scelta di restare alla guida del nucleo antiterrorismo, rinunciando di tornare a svolgere l’incarico di generale dei carabinieri.
"Caro generale -scriveva Andreotti, che aveva appena lasciato Palazzo Chigi a Francesco Cossiga- so che accettare la conferma all’incarico le costa, ma conosco anche il suo patriottismo e penso a quale effetto avrebbe avuto l’annuncio di una sua diversa soluzione e dobbiamo quindi ancor di più essere grati. Auguri di buon lavoro e cordialissimi saluti".
Il 16 dello stesso mese, risponde Carlo Alberto Dalla Chiesa: "Le sono tanto grato per i sentimenti di solidarietà e di incoraggiamento che si è compiaciuto farmi pervenire, sapevo della sua benevolenza e -con una punta di presunzione- anche della sua considerazione, ma l’aver potuto leggere così gentili espressioni, in un momento di particolare travaglio interiore e quando più ambivo ad un mio rientro nei ranghi e quindi nell’ombra mi ha fatto bene e mi è valso a quel po’ di ossigeno di cui avevo bisogno", scrive il generale.
E ancora: "Continuo a sperare che, nel giro di pochi mesi, le mie aspirazioni possano trovare la loro realizzazione e che gli stati emotivi concedano spazio anche a chi, più che apparire intende conservare la fede dell’umiltà e la modestia al servizio del nostro Stato, ma è anche certo che, nella parentesi per la quale mi viene richiesto di continuare a recitare una parte, le mie prestazioni saranno caratterizzate come lei chiede, dal più genuino senso di responsabilità verso il governo e verso la collettività. Le rinnovo, signor presidente, i sensi della mia gratitudine".
Ma ci sono, osserva Stefano Andreotti, anche le "sentenze che parlano. Uno può anche dire che le sentenze lasciano il tempo che trovano, ma in quelle di Palermo e di Perugia è stato escluso in modo categorico che mio padre abbia avuto compromissioni con la morte del generale Dalla Chiesa". Un uomo, "che aveva con mio padre "un rapporto di grandissima stima. Una stima che sottolineo era reciproca". E poi, conclude, "aveva giurato davanti a Dio" di essere totalmente estraneo a questi fatti, "e per un credente come lui quel giuramento era sacro".
Ernesto Giusti