Gli attacchi islamici dell’ultimo mese, la rabbia dell’opinione pubblica riflessa anche nel voto in Turingia e in Sassonia, la pressione dell’opposizione. Il governo di Olaf Scholz alla fine ha compiuto l’atteso passo della stretta ai propri confini: a partire dal 16 settembre, Berlino estenderà i controlli – già da tempo introdotti in via parziale – a tutte le frontiere e i valichi del territorio tedesco per mettere un freno all’ingresso dei migranti irregolari e difendersi dai "gravi pericoli posti dal terrorismo islamico".
Un atto doveroso, ha affermato la ministra degli Interni, Nancy Faeser, arrivato dopo un sofferto dibattito tra le diverse anime della maggioranza. La decisione è stato subito notificata a Bruxelles che, concentrata sull’implementazione del nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, si trova sempre più nel mirino dei Ventisette e delle loro richieste di meno immigrazione, provenienti non più soltanto dal club dei Mediterranei.
Dieci giorni dopo il nuovo pacchetto sicurezza sui respingimenti dei migranti e la stretta sui coltelli varato all’indomani dell’attentato – compiuto per mano di un siriano – che ha sconvolto Solingen e la Germania intera, le nuove misure non sono giunte inaspettate. "Ci saranno buone proposte, tutte nel rispetto delle leggi europee, dei trattati internazionali e della nostra Costituzione", aveva preannunciato alla vigilia il Bundeskanzler ai microfoni dell’emittente Zdf, indicando la volontà di "rafforzare" la "già efficace gestione delle frontiere" anche "con il sostegno dell’opposizione".
I controlli estesi, ha spiegato Faeser al momento di ufficializzare la scelta, sono giustificati dal "continuo elevato carico complessivo della Germania" e dalla necessità di "proteggere la sicurezza interna dalle attuali minacce del terrorismo islamista e della criminalità transfrontaliera".
La pressione politica che ha spinto il governo tedesco a compiere il nuovo passo – a due settimane dalla chiamata alle urne in Brandeburgo del 22 settembre – è però innegabile. Il capo della Cdu, Friedrich Merz, subito dopo la strage di Solingen era stato netto, lanciando a Scholz un guanto di sfida: "Se il governo non darà garanzie sui controlli alle frontiere e i respingimenti di tutti i migranti illegali, il dialogo con l’opposizione non avrà più motivo d’esserci", era stato l’ultimatum davanti al quale il cancelliere si era difeso rivendicando di avere apportato "la più grande svolta nella gestione della migrazione nella storia degli ultimi dieci o vent’anni".
Una disputa interna destinata ad avere ripercussioni anche sui vicini – ben nove Paesi – oltre la frontiera tedesca. E ad estendersi fino a Bruxelles e alla Commissione europea di Ursula von der Leyen, guardiana della tutela della libera circolazione e fiera dello storico accordo sul nuovo Patto per la migrazione e l’asilo che, con la sua solidarietà flessibile, rischia però di essere affossato sul nascere facendo la fine del regolamento di Dublino. Le prime avvisaglie sono già arrivate dall’Ungheria di Viktor Orban che continua a sbandierare la sua politica "zero migranti".
Con una nuova provocazione, Budapest ha già fatto sapere di essere pronta a spedire tutti gli irregolari direttamente nel quartier generale delle istituzioni Ue caricandoli a bordo di autobus con un biglietto di sola andata. Una minaccia che "mina la solidarietà europea", ha contrattaccato la ministra belga Nicole de Moor, sollecitando tutti a "lavorare insieme per una politica migratoria equa, umana ed efficace" nel "rispetto dei valori europei e degli obblighi internazionali".