Omelia di Betori: il saluto ai sacerdoti e a Firenze, dopo 15 anni, durante la messa crismale

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L’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, ha pronunciato parole di saluto ai sacerdoti della diocesi, e in sostanza alla città di Firenze, durante l’omelia della messa crismale (ossia la celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo nella cattedrale generalmente il mattino del giovedì santo). Betori sta infatti per lasciare la guida della Curia fiorentina e ha usato, in uscita, parole simili a quelle adoperate nella stessa messa crismale al suo ingresso. Riportiamo il testo integrale dell’omelia del cardinale.

«La Messa crismale, che il Vescovo concelebra con i presbiteri delle
diverse zone della diocesi e durante la quale benedice il santo crisma e gli
altri oli, è considerata una delle principali manifestazioni della pienezza del
sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con
lui».

Sono queste le parole del Pontificale Romano nelle Premesse al rito
della Benedizione degli Oli. Con queste parole quindici anni fa mi rivolsi a
voi nella mia prima presidenza della celebrazione della Messa Crismale
nella Chiesa fiorentina. Ad esse faccio riferimento anche oggi, in questa
celebrazione che si può presumere sia l’ultima mia presidenza della Messa
Crismale in questa cattedrale, per rivolgermi in particolar modo a voi preti
fiorentini, con cui ho condiviso il governo pastorale del popolo di Dio che
mi è stato affidato in questi anni.

Le mie vogliono essere parole di ringraziamento, di riflessione, di
consegna per il futuro. Vorrei però evitare di scivolare sul piano dei
sentimenti, pur importanti e non assenti nel mio cuore in questo momento,
per ricondurre tutto alla luce della parola di Dio.

Gratitudine, consapevolezza, fiduciosa speranza vanno infatti misurate sulla fedeltà con
cui siamo stati capaci di corrispondere al dono che Cristo ci ha fatto, di
come ci sentiamo in dovere di approfondirne le forme in modo adeguato ai
tempi, di come ci consegniamo ad esso nella certezza che la presenza del
Signore e del suo Spirito tra noi, pur nelle incertezze del presente, non
verrà mai meno.

In quest’orizzonte accogliamo la rivelazione che oggi ci viene fatta
dalla parola di Dio circa la missione di Cristo, delle dignità e responsabilità
che sono consegnate ai suoi discepoli, del servizio della parola e della
grazia che è affidato a noi suoi ministri a vantaggio di tutti. L’immagine
che riassume questo mistero è quella dell’unzione, con cui il profeta
esprime la consacrazione del Messia inviato a portare il lieto annunzio della
salvezza, a porsi al servizio dei poveri e degli oppressi, a diffondere la
consolazione della misericordia.

Questa stessa unzione abbiamo udito Gesù proclamare come segno della missione per cui lo Spirito lo invia come liberatore dell’umanità da ogni sua fragilità per entrare nel tempo della
grazia del Signore. Infine, questa unzione, ora definita regale e sacerdotale,
è il segno di un popolo redento che vive per la gloria del Padre.
Annuncio, sacerdozio e regalità dalla persona di Cristo passano a
quella dei credenti in lui e al servizio di questo passaggio è posto il nostro
ministero di preti. Grazie dunque per il vostro ministero a servizio della
Parola; viva sempre in voi il desiderio di conoscerla sempre più
profondamente e di saperla ridire con parole che siano in grado di
incrociare le domande espresse e inespresse dell’umanità contemporanea,
guardiamo con fiducia al futuro, certi che nella inesauribile ricchezza della
parola di Dio c’è un sicuro orientamento per le nuove sfide che incombono
sull’umanità nei giorni a venire.

Grazie per il vostro ministero di pontefici tra l’umanità e il suo Creatore, di generosi trasmettitori della grazia che viene dall’alto e di voce dell’umanità e delle sue attese verso il Padre di
tutti; in un mondo che si edifica seguendo il mito dell’autosufficienza,
sentite come particolare vostro impegno quello di risvegliare nella vostra
gente il bisogno dell’invocazione e l’umiltà dell’accoglienza del dono di
vita nuova opera dei sacramenti; alimentate sempre in voi la speranza,
perché nessun ostacolo vi getti nello sconforto o anche solo nell’inerzia,
perché tanto nulla cambia, avendo in noi la certezza che il Risorto ha il
potere di fare nuove tutte le cose.

Grazie per come nel vostro ministero animate le vostre comunità, vi consacrate ad esse, vi fate carico dei
problemi in particolare dei più poveri; Siamo sì ministri della Chiesa, ma il
nostro servizio è sempre per la venuta del Regno di Dio tra noi, nei segni di
bene che aiutiamo a far sbocciare e nel contributo che come comunità
cristiane siamo in grado di offrire per l’affermarsi della giustizia, della
pace, del rispetto della dignità di ogni uomo, del bene comune; è in rapido
mutamento il posto della Chiesa nella società e di conseguenza quello del
prete, per cui siamo sollecitati a lasciare ogni nostalgia di centralità ma
anche a ribadire che nessuno e nessun mondo può restare estraneo al dono
di noi stessi nel Signore.

Nell’omelia di quindici anni fa vi richiamavo a una comunione che
non fosse una massificante uniformità, ma un intrecciarsi di relazioni nella diversità delle esperienze e nella modulazione dell’unica verità. Vi chiedevo di rifuggire dallo stanco ripetersi di una melodia monocorde per cercare un’armonia polifonica in cui ciascuna voce cerca la sintonia con l
altre, per una comunicazione che esprima intelligenza della realtà e
bellezza dell’esperienza. Non so quanto siamo riusciti a vivere così in
questi anni e sto qui anche a chiedervi perdono per quanto non ho fatto o
per quanto posso aver fatto in senso contrario.

L’altro richiamo di quindici anni fa era alla radice sacramentale del
nostro ministero, per non lasciarci ridurre ad agenti sociali, pur apprezzati e
benvoluti, e neppure a funzionari di un sacro a cui ricorrere come rifugio
delle angosce umane. Sacramentalità significa che ciò che è decisivo in noi
è il dono della grazia, di cui siamo stati e siamo destinatari e di cui abbiamo
la responsabilità di essere trasmettitori. Vi ricordavo e vi ripeto perciò che
servire la dimensione sacramentale della Chiesa significa anzitutto
impegno a mostrare come nel regime sacramentale possiamo cogliere il
primato di Dio nella storia e come esso si manifesti a noi ed entri in
contatto con la nostra vita grazie alla mediazione di Cristo, che dei
sacramenti è il fondamento e il fondatore.

E questo richiamo a Cristo mi fa ripetere anche oggi che la misura
del nostro essere prete è strettamente dipendente dal nostro legame a lui.
Solo restando uniti a lui sia la nostra identità che il nostro servizio nella
Chiesa e nel mondo potranno trovare verità ed efficacia. Non manchi mai
nella nostra vita quotidiana questo guardare a Cristo, dialogare con lui,
lasciarci da lui guidare e sostenere.

Abbiamo camminato insieme in questi anni. È stato un grande dono
per me essere il vostro vescovo e poter contare sul vostro sostegno. Non
sappiamo quando, ma in futuro sarà un altro vescovo a guidarvi, a cui vi
consegnerò ma a cui chiedo anche a voi di consegnarvi con fiducia. I
vescovi passano, il Signore resta ed è lui l’unico vero nostro Pastore, di cui
noi siamo solo segni, consapevoli, per quanto mi riguarda di debolezza e
insufficienza. Al Signore chiedo misericordia e a voi umana comprensione.
Con affetto.

Giuseppe cardinale Betori

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