Matteo Messina Denaro arrestato col metodo Dalla Chiesa. Il sospiro di Firenze, nel ricordo delle 5 vittime dei Georgofili

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Era stato deciso tre giorni fa, il blitz per arrestare Matteo Messina Denaro, boss latitante da 30 anni, accusato anche della strage dei Georgofili, a Firenze, nella notte fra il 26 e il 27 maggio del 1993. Dove morirono cinque persone: la famiglia Nencioni, con le due bambine, Nadia e Caterina, e lo studente Dario Capolicchio. La mafia voleva sfregiare la Galleria degli Uffizi. Il fiorino pieno di esplosivo devastò soprattutto l’Accademia che studia i segreti della terra e dell’agricoltura: appunto i Georgofili.

Firenze rimase profondamente ferita da quella strage. Quasi incredula che potesse essere accaduto. Sperava, la città, che fosse vera la prima versione, quella che, riportata anche da "La Nazione" la mattina del 27 maggio 1993, dopo una frettolosa ribattuta notturna, parlava di una banale ma devastante fuga di gas. Notizia precisata, proprio a chi scrive questo articolo, dall’allora responsabile della protezione civile, Elveno Pastorelli. Che disse: "Macchè gas, è stata una bomba".

Una bomba che colpì la città nel profondo dell’anima. Come durante la guerra o quando venne devastata dall’Arno, il 4 novembre 1966. "Se è stata la mafia a far saltare l’Accademia dei Georgofili, vuol dire che i mafiosi hanno dichiarato guerra al mondo. Perchè Firenze appartiene al mondo", disse il sindaco, Giorgio Morales. E i fiorentini manifestarono la loro rabbia con civile fermezza.

Ecco perchè, proprio a Firenze, la notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro, indicato dalla giustizia come uno dei principali artefici di quella bomba, è stata accolta con sollievo, quasi una sorta di liberazione dopo quasi trent’anni. Ed è stato seguito con attenzione il racconto della cattura. Alla quale, fanno sapere da Palermo, nessun pentito avrebbe collaborato. Le chiavi per arrivare al superboss sono state la meticolosa raccolta di una serie abnorme di informazioni confrontate tra i tanti reparti dei Carabinieri e le banche dati dello Stato (tra queste quelle del ministero della Salute e delle Regioni), il lavoro di investigazione in strada e le intercettazioni telefoniche.

E’ quello che la componente investigativa dell’Arma definisce il ‘metodo Dalla Chiesa’, come spiega lo stesso Comandante Generale, Teo Luzi: "Per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura, soprattutto in questi ultimi anni, con un grandissimo impiego di personale e di risorse strumentali". E tre giorni fa è arrivata la svolta e la decisione del blitz. Dunque un’indagine tradizionale che ha una ferma consapevolezza: "senza intercettazioni non si possono fare le indagini di mafia", sottolinea il capo dei pm di Palermo, Maurizio de Lucia. Il bandolo della matassa, in quel mare di byte e faldoni, erano i dati che in qualche modo facevano riferimento alla malattia del padrino di Castelvetrano, a causa della quale prenotava visite, terapie e interventi sotto il falso nome di Andrea Bonafede, con tanto di codice fiscale.

Le indagini che hanno dato impulso alla cattura sono state le due operazioni chirurgiche, una per un cancro al fegato, l’altra per il morbo di Crohn. Una delle due operazioni peraltro era avvenuta in pieno Covid. I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte gli inquirenti sono arrivati ad un certo un numero di pazienti. L’elenco si è ridotto sulla base dell’età, del sesso e della provenienza che, sapevano i pm, avrebbe dovuto avere il malato ricercato.

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Alla fine tra i nomi sospetti c’era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara. Dalle indagini però è emerso che il giorno dell’intervento, scoperto grazie alle intercettazioni, Bonafede era da un’altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. Tre giorni fa le indagini hanno poi confermato che la mattina del 16 gennaio 2023 Messina Denaro, alias Bonafede, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemio.

Certi di essere molto vicini al capomafia, i carabinieri del Ros sono andati in clinica, poi Messina Denaro è arrivato a bordo di un’auto. Non ha opposto resistenza, non ha tentato la fuga. Quando un carabiniere gli ha chiesto il nome ha solo detto: "Sono Matteo Messina Denaro". Poi la cattura, senza ricorso alla violenza e alle manette. Nessuna soffiata o rivelazione: dietro il momento culminante c’erano solo trent’anni di lavoro duro, minuzioso, paziente. E Firenze, dopo tanto tempo, ha tirato un sospiro di sollievo. Ricordando Nadia e Caterina Nencioni, il loro babbo e la loro mamma e Dario Capolicchio, studente ligure innamorato di Firenze e di una ragazza che non potè sposare.

Sandro Bennucci

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