Social Forum 2002, Pisa: corteo a Camp Darby. Dialogo preventivo e dissuasione: tutto filò liscio, come a Firenze

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In questi giorni a Firenze si sono succeduti gli interventi dei protagonisti e dei responsabili dell’organizzazione e del controllo della manifestazione fiorentina del Social Forum, avvenuta nel novembre 2002. Ero allora prefetto di Pisa, città coinvolta nell’evento.

Le Autorità centrali temevano che si verificasse una replica del G8 di Genova. Diversi protagonisti cercavano di fugare le apprensioni evocando lo slogan “Firenze città aperta”. I leader del movimento erano sempre gli stessi del G8, Vittorio Agnoletto e Tommaso Fattori, Sara Nocentini e Bruno Paladini, Stefano Kovac.

Fu un evento difficile da gestire, ma che fu avviato su un binario positivo grazie al gran lavoro preventivo che alcune forze politiche e sindacali da un lato, ma soprattutto le istituzioni statali di Firenze e Pisa dall’altro, fecero per oltre un mese prima della manifestazione. A Pisa sarebbe andato in scena un prologo dell’evento di Firenze; se fossero accaduti incidenti durante quel corteo, questo fatto avrebbe certo influenzato la grande manifestazione nel capoluogo toscano. Accanto a me a Pisa il mio braccio destro, viceprefetto Enrico Ricci, adesso prefetto di Bergamo, e i responsabili delle Forze di sicurezza, Questore, comandante provinciale dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e dei vigili del fuoco. Fu forse la prima volta che i pompieri furono aggregati in operazioni a tutela della sicurezza (in caso di incendi) a una manifestazione di piazza.

Ricordo bene quel 6 novembre del 2002. Era stato organizzato in anticipo un incontro a Firenze con la partecipazione del ministro Pisanu e del Capo della Polizia, a riprova di quanto il ministero dell’interno tenesse all’efficace organizzazione della sicurezza e temesse nel contempo quell’evento.

Non molti si erano ricordati, fino ad allora, che prima del corteo fiorentino era in programma una manifestazione, molto delicata, di antagonisti e cobas davanti alla base americana di Camp Darby, a Pisa. per protestare contro gli Usa e le loro installazioni militari in Italia.

In preparazione dell’incontro col ministro avevo con sufficiente anticipo avvertito Serra, informandolo che da tempo stavo predisponendo gli opportuni servizi, e che avevo fatto incontri, ovviamente separati, con gli organizzatori della manifestazione e i responsabili della base americana, per evitare il più possibile incidenti e scontri con le Forze dell’ordine.

Piero Bernocchi, il gran capo dei Cobas, mi incontrò diverse volte. Era quella una manifestazione antimperialista, non inclusa nel programma ufficiale del Social Forum, voluta solo da Cobas e dal movimento antagonista toscano. Ma non per questo meno pericolosa, anzi.

Per comprendere meglio la situazione occorre far menzione della localizzazione della base americana. Si dispiega lungo due chilometri della statale da Livorno a Pisa, un rettilineo in aperta campagna, solo campi verdi e il recinto della base che fiancheggia la carreggiata.

I contestatori arrivarono in 6.000, in autobus e auto, con una decina di treni speciali.
Avevamo predisposto servizi che garantissero un “accompagnamento discreto” dal luogo di concentramento fino ai pressi della base, con contingenti rinforzati però negli spazi attorno alla stessa. Lì davanti, scaglionati sul perimetro, erano presenti 1.200 fra poliziotti, carabinieri e militari della guardia di Finanza. All’interno c’erano i marines e i carabinieri di stanza alla base, in tutto altri 800 uomini.

Avevo definito patti chiari. Non avremmo tollerato nessun tentativo di tagliare le recinzioni della base per accedere all’interno, nessun oggetto doveva essere scagliato oltre i cancelli, solo musica e comizi davanti all’ingresso. E avevo anche mandato un preciso avvertimento: la base è territorio americano e chi deve vigilarlo dall’interno potrebbe anche sparare per impedire ogni ingresso indebito.

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Debbo dire che le mie “buone maniere” furono convincenti. Così come fu convincente il plotone di poliziotti a cavallo schierati davanti al recinto della base.
Per esperienza sapevo che in occasioni di questo tipo gli organizzatori e i partecipanti valutano bene i luoghi e le forze dissuasive che hanno di fronte, e quando lo Stato ci consente di avere un nucleo consistente di Forza pubblica (non per nulla si definisce in tal modo), i partecipanti, almeno allora, sono indotti a più miti consigli e accettano di rispettare, più o meno, regole a accordi stabiliti.

Striscioni, slogan contro la guerra, cartelli, il solito armamentario degli antagonisti, compreso qualche volto coperto. Hanno vigilato bene anche i militanti dei Cobas controllando a vista i gruppetti dei possibili facinorosi, non facendo avvicinare nessuno alla recinzione di protezione della base se non per attaccare qualche striscione., sotto l’occhio vigile della Digos. Qualche bandiera bruciata ma il corteo è sfilato senza problemi.

Le istituzioni pisane collaborarono in modo egregio e furono al fianco del prefetto per garantire il miglior andamento di quella giornata. Al termine, svanita la tensione che pur sempre ci accompagna in questi momenti, mi rallegrai con tutti i responsabili della sicurezza e telefonai a Serra per informarlo che tutto era filato per il verso giusto. E lui ovviamente ne fu sollevato e si complimentò con i “pisani”. Ricevetti anche i complimenti di Bernocchi, che si espresse pubblicamente in favore della perfetta organizzazione, e lo comunicai a i dirigenti della sicurezza.

FIRENZE – Così, il giorno dopo, la manifestazione fiorentina si svolse senza particolari preoccupazioni e incidenti. Del resto la collaborazione preventiva fra organizzatori, sindacati e istituzioni costituiva un buon viatico, così come lo era stato a Pisa. Secondo gli organizzatori dalla Fortezza allo Stadio Franchi sfilarono un milione di persone. La Cgil e le associazioni cattoliche fecero la loro parte, anche sul fronte della sicurezza. Alessio Gramolati era il segretario generale della Camera del lavoro di Firenze e, ricordando quell’evento, oggi parla di “un incontro straordinario con generazioni che portavano idee e culture piene d’innovazione, capaci di aprire una città e un’organizzazione come la nostra Firenze e la nostra Cgil”.

Mentre il prefetto Achille Serra ricorda tutte le fasi di preparazione dell’evento e gli avvertimenti di Oriana Fallaci, che temeva danneggiamenti e devastazioni come a Genova. Ma fu deciso che il corteo lambisse soltanto il centro della città. Inoltre scese in campo anche un servizio d’ordine interno, formato dai portuali di Livorno. Il tutto funzionò alla grande, e il prefetto commenta adesso: «Ricordo la faccia degli anarchici che tentarono di forzare il corteo, quando videro quei nerboruti a braccia conserte…»

Alla fine delle giornate del Social Forum il comandante della base americana organizzò un rinfresco per ringraziare le autorità italiane. Partecipò ovviamente anche Achille Serra, che non aveva mai visitato Camp Darby. Fu la conclusione migliore di quei giorni difficili, faticosi, che ricordo però con grande soddisfazione. Abbiamo veramente dato dimostrazione che lo Stato, quando vuole, c’è e funziona.

PAOLO PADOIN

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