Decreto giustizia: processi rapidi, pene sostitutive e sanzioni certe. Impulso alla digitalizzazione

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Approvato dal Consiglio dei ministri un nuovo decreto sulla giustizia che permetterebbe processi rapidi, sanzioni certe e pene sostitutive. Ma si dovrà fare i conti con l’inadeguatezza della macchina giudiziaria e con comportamenti dei magistrati, fattori che da sempre hanno impedito l’efficacia di ogni riforma non gradita alle toghe.

Il Decreto legislativo di attuazione della riforma del processo penale approvato dal Cdm dovrà avere il via libera definitivo entro il 19 ottobre dopo il passaggio nelle Commissioni giustizia di Camera e Senato.
Gli interventi riguardano la procedura penale, il sistema sanzionatorio penale e la giustizia riparativa.

Sul fronte della procedura penale, si interviene sull’intero percorso processuale: dalle indagini preliminari, al dibattimento, ai riti alternativi, al processo in absentia, ai giudizi di impugnazione, fino all’esecuzione penale con l’obiettivo principale di ridurre la durata dei processi.

L’Italia infatti è il primo Paese nell’area del Consiglio d’Europa, per condanne per irragionevole durata dei
processi: 1202 condanne dal 1959 (data di avvio di attività della Corte di Strasburgo) ad oggi; al secondo posto, la Turchia doppiata con 608, Francia (284), Germania (102) e GB (30), Spagna (16). Altro che esemplare efficienza della nostra magistratura, come sostengono le toghe.

Tra le novità, l’implementazione del processo penale telematico: più digitalizzazione e uso delle tecnologiche informatiche lungo l’intero procedimento: per esempio, notificazioni per via telematica e trasmissione dei fascicoli tra gli uffici giudiziari in forma digitale per ridurre i tempi di attraversamento tra le fasi processuali, che talora richiedono mesi o anni.
Sono rimodulati i termini di durata massima delle indagini preliminari, con l’introduzione di un meccanismo di discovery degli atti, nella salvaguardia del segreto investigativo, per evitare la stasi del fascicolo, nell’interesse di indagati e vittime.

Si valorizza la funzione deflattiva dei riti alternativi (patteggiamento, giudizio abbreviato, decreto penale di condanna, giudizio immediato), con la possibilità, tra l’altro, di estendere il patteggiamento alla confisca facoltativa e alle pene accessorie.

Più filtri per la celebrazione dei processi: nell’udienza preliminare, prevista per i reati più gravi, il giudice dovrà pronunciare sentenza di non luogo a procedere, quando gli elementi acquisiti non consentono una
ragionevole previsione di condanna. Introdotta poi un’udienza predibattimentale per i reati meno gravi, con citazione diretta a giudizio, sempre allo scopo di filtrare i procedimenti.

Ricorso in appello inammissibile, in caso di mancanza di specificità dei motivi. Inappellabili le sentenze di condanna al lavoro di pubblica utilità, che può essere applicato in sostituzione di pene detentive inflitte fino a tre anni.
Sul sistema sanzionatorio, gli interventi rispondono ad una duplice finalità: diversificare e rendere più effettive le pene; incentivare la definizione anticipata del procedimento. Si realizza una riforma del sistema di esecuzione e conversione delle pene pecuniarie, per renderle sanzioni effettive e certe.
Da tempo si registrano tassi di riscossione e conversione delle pene pecuniarie ridottissimi (1% di esecuzione, 0,4 di riscossione, secondo i dati del Casellario giudiziale relativi al 2019, con una perdita per il bilancio dello Stato, solo in quell’anno, di oltre due miliardi di euro): per chi non paga, la pena pecuniaria si può convertire in misure limitative della libertà personale, secondo un modello sperimentato in Europa Si distingue tra mancato pagamento colpevole e incolpevole in caso di insolvibilità.

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Le pene sostitutive non si applicano ai reati di criminalità organizzata e ai reati dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario.
Si amplia l’ambito di applicazione della sospensione del procedimento con “messa alla prova”, come indicato dalla legge delega, ad un insieme circoscritto di reati puniti con pena non superiore a sei anni. Si prevede che il pubblico ministero possa, se lo ritiene opportuno, proporre all’indagato/imputato la messa
alla prova, ottenendo la definizione anticipata del procedimento con ricadute positive sui tempi complessivi dei processi penali.

La riforma interviene anche sull’istituto della particolare tenuità del fatto in una triplice direzione: estensione dell’ambito di applicabilità ai reati con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni; attribuzione di rilievo alla condotta susseguente al reato; esclusione dall’applicazione ad alcuni reati, tra cui la violenza sessuale, lo stalking e tutti i reati di violenza contro le donne e di violenza domestica riconducibili alla Convenzione di Istanbul; i reati in materia di stupefacenti, la corruzione e i più gravi reati contro la pubblica amministrazione, l’incendio boschivo.
Sarà il giudice a valutare in concreto l’eventuale tenuità del fatto, senza alcun automatismo. Resta fermo che la causa di non punibilità non si applica se il comportamento è abituale. Si estende il regime di procedibilità a querela per alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio per favorire il risarcimento del danno, la riparazione dell’offesa e la definizione anticipata dei procedimenti, con remissione della querela.

Sulla giustizia riparativa, in linea con la legge delega approvata dal Parlamento, si fornisce per la prima volta una cornice normativa a prassi già diffuse, sulla base della normativa europea e internazionale. Sono istituiti, con il coinvolgimento degli enti locali, centri per la giustizia riparativa in ogni Corte d’Appello. La giustizia riparativa si affianca, senza sostituirsi, al processo penale, nell’interesse delle vittime dei reati. La riforma fa seguito alla Dichiarazione di Venezia dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa, adottata durante il semestre di presidenza italiano

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