Mosca: i comandanti di Azov nella prigione delle purghe. Ci sono stati anche Solzenicyn a Limonov

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Un destino scritto: i comandanti del reggimento Azov catturati a Mariupol sono detenuti nel carcere di massima sicurezza di Lefortovo, a Mosca. A un mese dalla definitiva resa dei difensori dell’acciaieria Azovstal, fonti di sicurezza russe tornano a gettare una luce sulla sorte dei combattenti ucraini fatti prigionieri dalle truppe nemiche. Nessun nome, ma il ruolo di comando evocato fa pensare ai protagonisti della resistenza, durata quasi tre mesi e divenuta il simbolo della lotta di Kiev contro l’invasione. Secondo la fonte, nella prigione della capitale russa potrebbero esserci più di 100 prigionieri catturati all’uscita dalla fabbrica-bunker, inclusi "mercenari stranieri".

PROKOPENKO – In questa fase sarebbero in corso i loro interrogatori, mentre i processi potrebbero cominciare nelle prossime settimane. Nei giorni scorsi, media di Mosca avevano riferito del trasferimento in territorio russo di oltre mille dei 2.439 militari catturati, citando tra questi il vice comandante del battaglione Azov, Svyatoslav ‘Kalina’ Palamar, e il comandante della 36/ma brigata dei marines, Serhiy ‘Volyna’ Volynsky. Quest’ultimo è l’unico dei leader della resistenza di Mariupol di cui siano state diffuse immagini poco dopo la resa. Nessuna informazione è invece trapelata sul nemico numero uno della propaganda pro-Putin, il comandante del battaglione Azov, Denis ‘Radis’ Prokopenko.

LEFORTOVO – La scelta di rinchiudere i comandanti di Azov a Lefortovo non è un caso. Non poteva esserci prigione più simbolica a Mosca. La notizia diffusa dall’agenzia statale Tass riporta al centro delle cronache il penitenziario che per decenni è stato il luogo in cui venivano confinati i nemici della Russia. Dietro le sue mura è finito il fior fiore della dissidenza in epoca sovietica, dalle vittime delle Grandi Purghe del ’37 allo scrittore Aleksandr Solzenicyn. Costruito nel 1881 come carcere militare per i sottufficiali condannati per reati minori, con circa 200 celle distribuite su quattro piani, Lefortovo – così chiamato dal quartiere in cui sorge – è passato sotto la diretta gestione dei servizi di sicurezza subito dopo la rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917 e fino al 2005, quando fu tolto al controllo dell’Fsb, con l’eccezione del periodo tra il gennaio 1994 e l’aprile 1997, in cui era stato affidato al ministero degli Interni, ma rimane un penitenziario di massima sicurezza, soggetto a forti restrizioni su movimenti e comunicazioni rispetto ai regolamenti ordinari.

LUBJANKA – Insieme alla Lubjanka, il quartier generale del Kgb, Lefortovo fu il centro del potere repressivo a Mosca: spesso anticamera dei gulag. Sarebbe stato utilizzato anche per torture ed esecuzioni di massa. Durante l’era Krusciov ci finì per due volte il figlio di Stalin, Vasilij, e negli Anni Settanta, sotto Breznev, le sue celle furono occupate quasi esclusivamente da dissidenti. Solzenicyn ci rimase una sola notte nel 1974, prima dell’espulsione dall’Urss, mentre Anatolij Sharanski vi rimase 18 mesi in isolamento e nel 1997 – quando ritornò per la prima volta a Mosca in veste di ministro israeliano – chiese e ottenne di visitare con la moglie la sua cella. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, le sue porte si sono spalancate per i golpisti anti-perestroika e poi nell’ottobre ’93 per i leader della rivolta anti-Eltsin. E per 14 mesi, con Vladimir Putin già al potere, dietro le sue sbarre è finito anche lo scrittore e dissidente Eduard Limonov.

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Sandro Bennucci

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