Epifania, l’omelia di Betori: «Rispettare la natura e lasciarsi guidare dai segni, come fecere i Magi»

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Celebriamo oggi l’Epifania, la solennità in cui la Chiesa riassume tre momenti della manifestazione di Gesù al mondo: l’adorazione da parte dei Magi, il Battesimo per mano di Giovanni, il primo segno da lui compiuto a Cana di Galilea. Ciascuno con un proprio messaggio, questi tre momenti offrono un’immagine complessiva del volto del Redentore da riconoscere e da proclamare.

Non possiamo però nascondere una difficoltà di fondo che si oppone all’annuncio della Chiesa che, nel suo Figlio, Dio si è mostrato a noi. I nostri giorni sembrano piuttosto essere segnati dall’assenza di Dio, ovvero il suo mistero ci appare così lontano da risultare inaccessibile, per molti sfocato fino alla negazione, per alcuni addirittura da occultare perché non intralci la libertà dell’uomo.

Se non vogliamo pensare che questa nostra cecità sia l’esito di un rifiuto di Dio verso di noi, dobbiamo riconoscere che essa è legata a una distorsione del nostro sguardo verso di lui: lo cerchiamo dove egli non è. Questo perché guardiamo a lui restando prigionieri della nostra umanità, semplicemente ipotizzandone misure maggiori rispetto a noi, nella conoscenza, nella volontà, nel potere. Dio, però, non è semplicemente “più” di noi. Egli è ”altro” da noi.

E lo mostra già nella sua prima manifestazione, quella rivolta ai Magi, in cui lui, il Re dei Re, appare loro nella fragilità di un bambino. In una contrada marginale dell’impero romano, nella piccola cittadina di Betlemme, in un luogo per sé destinato agli animali e non agli uomini, nella precarietà e povertà di una coppia di sposi, nella debolezza di un bambino, Dio si fa presente nel mondo. Tutto suona estraneo ai criteri di valore secondo il mondo, che fonda l’affermazione di sé nel potere, nella ricchezza, nell’autonomia, nella forza. Ma proprio lì dobbiamo cercare la presenza di Dio, lì dove il mondo non lo cerca, in ciò che il mondo non considera, lascia ai margini, rifiuta, riduce a “scarto”. Come ci ricorda Papa Francesco, occorre «riconoscere Cristo stesso in ogni fratello abbandonato o escluso» (Fratelli tutti, 85). È quanto fanno i Magi davanti alla mangiatoia di Betlemme.

Il loro gesto segna il traguardo di un lungo cammino, in cui sono stati orientati da diversi segni. Anche quest’aspetto del racconto di Matteo merita la nostra attenzione, perché anche noi possiamo cogliere i segni che indirizzano a Dio. Il primo segno che i Magi colgono è quello della stella. La sua è una presenza muta, ma il suo apparire nel cielo viene avvertito dai Magi, nella sua novità, come un segno che interroga la loro conoscenza. In questo dialogo tra l’uomo e la natura possiamo inserire il nostro confronto con il mondo che, ahimè, nei nostri giorni segnala una crisi degli equilibri ecologici, che prende perfino forme pandemiche e che costituisce un appello a ritrovare il nostro posto di creature di fronte al Creatore, custodi responsabili della natura e non suoi dispotici e arroganti padroni. Tocchiamo qui uno degli aspetti più inquietanti del nostro tempo, l’hybris dell’uomo contemporaneo, la sua orgogliosa tracotanza che lo porta a presumere della propria potenza e a rifiutare ogni limite e ogni criterio nell’esercizio della propria libertà. Lasciarsi interrogare dal mondo e dalle sue contraddizioni è uno degli obiettivi più urgenti per non restare vittime delle nostre stesse pulsioni e presunzioni.

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Non meno significativo è poi il secondo segno che i Magi cercano e ricevono. Esso è costituito da quanto la parola di Dio aveva annunciato circa il Messia, che però giunge ai Magi attraverso due canali di cui per sé dovrebbero sospettare: sacerdoti e scribi che pur possedendo le chiavi della rivelazione restano ad essa indifferenti, il re Erode per il quale il Messia è una minaccia e di cui quindi si farà nemico. I segni di Dio vengono anche da fonti che siamo indotti a definire lontane, lontane dalla fede, dalla verità, dalla giustizia. C’è un’apertura radicale all’altro che è chiesta al credente perché nulla resti perduto nella sua esperienza umana. I Magi non si precludono di ascoltare chi potrebbe essere giudicato estraneo alla loro ricerca, ma condividono con tutti la loro sete di verità e sanno valorizzare ogni seme di verità che incontrano sulla loro strada. È l’ascolto dell’altro, anch’esso più volte richiamato da Papa Francesco, ed esteso oltre ogni confine, caratteristico del Cammino sinodale a cui egli ci ha chiamati: «Nel cammino sinodale, l’ascolto deve tener conto del sensus fidei [dei credenti], ma non deve trascurare tutti quei “presentimenti” incarnati dove non ce l’aspetteremmo: ci può essere un “fiuto senza cittadinanza”, ma non meno efficace. Lo Spirito Santo nella sua libertà non conosce confini, e non si lascia nemmeno limitare dalle appartenenze» (Discorso ai fedeli della Diocesi di Roma, 18 settembre 2021).

Non possiamo inoltre trascurare il fatto che tutto nasce da una condivisione. Il primo ascolto e il primo dialogo è quello che i Magi instaurano tra loro, facendo di una ricerca individuale una ricerca comune. L’esperienza dell’incontro, della comunione, della fraternità è premessa decisiva per non perdersi nella ricerca di Dio, ma trovare nel fratello e nella sorella che condividono il nostro cammino il necessario sostegno. È un appello alla comunione nella Chiesa, nelle sue diverse articolazioni, e alla fraternità sociale, nei suoi diversi livelli. Nella fraternità ci è dato un ulteriore segno della presenza di Dio.

Per non perdere il triplice riferimento evangelico proprio di questa festa, dopo quanto abbiamo riflettuto a proposito dell’adorazione dei Magi, va ricordato come nel Battesimo la manifestazione di Gesù come Messia è legata allo Spirito che appare risiedere nella sua persona e che è il dono che egli porta agli uomini. Ciò significa che la ricerca di Dio deve avere cura di cogliere i segni della presenza dello Spirito. Dove si manifestano i frutti dei doni dello Spirito, là Dio si fa presente a noi e noi possiamo incontrarlo.

E, infine, il segno che Gesù compie a Cana mutando l’acqua in vino al banchetto di nozze, comunica che con lui giunge l’era messianica nella storia umana e si manifesta con il carattere della gioia. Il Dio di Gesù è una presenza che non pesa sulle spalle dell’uomo caricandolo del fardello degli obblighi, ma è esperienza di gioiosa condivisione perché fondata sul dono gratuito. Ogni volta che possiamo sperimentare la gioia dell’incontro e della condivisione, lì c’è Dio: Ubi caritas est vera, Deus ibi est, “Dove c’è vero amore, lì c’è Dio” (Messale Romano, Messa nella Cena del Signore).

Giuseppe Betori

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