Omelia del giorno di Natale 2021 del cardinale Betori: «Rispettare la vita umana, riconciliandola con la natura »

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L’inno che apre il vangelo secondo Giovanni costituisce il contesto di fede in cui collocare l’evento del Natale del Signore, la chiave di comprensione del suo significato. Quanto accade a Betlemme – la nascita di un bambino che non trova accoglienza nella casa e viene deposto in una mangiatoia – ha la sua radice ultima nel mistero eterno di Dio. Un Dio che ci viene svelato come realtà viva, in cui Padre e Figlio, uniti nell’Amore, sono un solo Dio e dal mistero di comunicazione che costituisce il loro legame trinitario scaturisce una volontà di comunicazione verso gli umani loro creature, destinatari del loro amore.

Colpisce che l’evangelista, per dire l’identità propria del Figlio, che è Dio, usi il termine Logos, Verbo, che è sì la Parola ma è anche il Pensiero, la Ragione. Le parole che abbiamo ascoltato all’inizio dell’inno – «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,1-2) – annunciano che il Bambino che accogliamo nel Natale è la ragione di tutte le cose, colui che ce ne può svelare il senso, perché la realtà e le vicende del mondo non sono frutto del caso, ma hanno un senso, che la luce del Verbo illumina.

È questo un richiamo che risuona particolarmente urgente oggi, in una società in cui si aprono troppi scenari di irrazionalità e l’indebolimento del concetto stesso di verità lascia spazi preoccupanti a teorie infondate, a complottismi, ad approssimazioni pericolose. Tutto questo perché non ci si affida alla ricerca della verità legata alla misura della realtà, ma ci si preoccupa della ricerca del consenso e del successo.

Il richiamo alla ragione che viene dalla fede dovrebbe fare giustizia della pretesa antitesi tra queste due fonti di conoscenza e riconoscere proprio nella fede il più valido difensore della ragione. Dal momento che la fede ci dice che il Logos si è fatto carne, noi troviamo nella persona del Figlio di Dio venuto tra noi come uomo il criterio di verifica del cammino della ragione umana. Guardando a Gesù troviamo l’immagine fatta storia del mistero di Dio e della sua creazione.

Ed è allora importante accogliere i caratteri propri con cui la Verità si è fatta uomo. La sua storicità, anzitutto. L’apparire di Dio nel volto umano di Cristo ci dice che il Dio cristiano, pur mantenendo la propria trascendenza, non teme di unirsi all’umanità, di fare di essa un luogo della sua presenza, per condividerne la storia, partecipe delle sofferenze e fonte di ogni bene. Ne deriva l’appello a offrire la nostra umanità come strumento della rivelazione di Dio, assumendo quel carattere di condivisione con cui il Figlio suo ha voluto farsi compagno di viaggio dell’umanità. Sta qui il fondamento di ogni impegno storico dei credenti, del loro stare dalla parte della vita, della dignità delle persona, della promozione della socialità, della difesa dei diritti umani, tra cui quello del lavoro – continuiamo a essere vicini ai lavoratori dell’azienda che da ieri si chiama QF e di tutte le imprese in crisi –, della cura dei deboli.

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Abbiamo poi da considerare la forma umile del Natale di Gesù, che ci mostra come la verità dell’umano non sta nelle risorse di cui dispone – mai abbastanza sufficienti come ci dimostrano i nostri limiti nella presente pandemia –, ma nella consegna di sé agli altri, radice della relazionalità, della dimensione sociale, dell’attenzione e dell’ascolto dell’altro, della condivisione con gli ultimi. Tutto questo risplende nel Natale del Signore e diventa progetto di umanità nuova, a sua immagine.

Ancora, il testo evangelico ci ricorda come la venuta del Figlio di Dio sia un esercizio della misericordia divina, manifestazione della grazia e luce che viene a disperdere la tenebre. Ma lo stesso evangelista è ben conscio che l’irruzione del divino nell’umano non è priva di contrasti, per cui le tenebre cercano di opporsi alla luce ma di questa è la vittoria: «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). La certezza che l’accesso a Dio ci è sempre assicurato e che il suo amore vince tutto diventa fondamento di speranza nelle situazioni più oscure e drammatiche della vita.

Il segno che Dio ami tanto gli uomini e le donne di questo mondo, al punto di voler prendere posto tra loro, è messaggio di fiducia per un’umanità smarrita. A questo ci ha esortati il profeta nella prima lettura, a nutrire il nostro animo di gioia: «Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme» (Is 52,9). Mentre il perdurare della pandemia sta diffondendo una sottile sensazione di sfiducia, disillusione, stanchezza, abbattimento, dobbiamo poter reagire appoggiando la nostra speranza nel Signore che non ci abbandona, e lo fa con i segni di bene che, nonostante tutto, continua a ispirare tra noi, segni di responsabilità, di solidarietà, di presa in carico delle sofferenze dei più fragili. Dobbiamo saper gioire di questi segni e diventarne noi stessi protagonisti.

Infine, una parola va ribadita circa la dignità della vita umana da rispettare sempre, all’inizio, nel suo svolgersi, alla fine. Se Dio ha voluto assumerla per sé, la vita dell’uomo è stata rivestita di una dignità inalienabile, che tutti devono rispettare, che tutti devono contribuire ad attuare concretamente. Il mondo rinnovato che tutti vorremmo uscisse da questa pandemia deve avere i caratteri di un’umanità piena, riconciliata con la natura, coesa nei vincoli sociali, attenta ai più deboli, aperta a una dimensione trascendente. Abbia questi caratteri il vissuto del nostro Natale, portatore di gioia al mondo. Buon Natale.

Cardinale Giuseppe Betori

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