Arno: il pericolo alluvione ora viene dalle bombe d’acqua. Opere di difesa ancora inesistenti

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Non è vero che il pericolo alluvione, per Firenze e la Toscana, è rimasto più o meno quello del 4 novrembre 1966. No, il rischio è aumentato per colpa del cambiamento climatico: che si manifesta con le bombe d’acqua, ossia le piogge violente e concentrate, di cui cominciammo a prendere coscienza 25 anni fa. Il termine stesso, bomba d’acqua, mi pregio di averlo scritto, per primo al mondo, su La Nazione, nel giugno1996, all’indomani dell’alluvione nell’Alta Versilia. Poi gli inglesi si affrettarono a copiare e ad attribuirsi la definizione con flash flodd o con il più antico water bomb, che però si riferisce a fenomeni invernali e diversi. Ne rivendico la paternità non per esibizionismo, e tanto meno per mettersi sopra un improbabile copyright, quanto perchè il termine non nacque per caso, ma fu il frutto di una riflessione con il professor Giampiero Maracchi, meterologo e climatologo scomparso nel 2018 e col professor Raffaello Nardi, geologo e allora segretario dell’Autorità di bacino dell’Arno. Riferendosi ai 430 millimetri d’acqua che si rovesciarono, in poche ore, su Stazzema e comuni vicini, commentarono «… È come se il cielo avesse bombardato quella strisciolina di terra».

BOMBA D’ACQUA – Fu facile, per me, la traduzione in un titolo: «E’ stata una bomba d’acqua». Fu la prima volta che una pioggia violenta e concentrata aveva la sua esemplificazione giornalistica. Ma quel che mi interessa, ora, non è certo rivendicare un’invenzione, quanto richiamare l’attenzione su quella frase. Perchè labomba d’acqua di 25 anni fa, certamente figlia di un cambiamento climatico già avviato, ora può avere effetti più dirompenti e devastanti. Un esempio pratico? L’alluvione del 1966 venne provocata da oltre 200 millimetri di pioggia caduti nell’intero bacino dell’Arno, con una punta di oltre 430 millimetri a Badia Agnano, nell’Aretino. In quel tempo, 55 anni fa, il clima non era ancora cambiato. Quella era pioggia torrenziale e distribuita sull’intero bacino dell’Arno. Oggi sono aumentate a dismisura violenza e concentrazione dei fenomeni piovosi. I 400 millimetri di pioggia possoo scatenarsi in più punti. Aumentando in maniera considerevole il rischio di alluvione.

DIFESE – Il cannone, quindi, è diventato più potente, mentre le difese sono rimaste più o meno le stess. Di una certa efficacia sono ancora quelle realizzate negli anni immediatamente successivi al diluvio: ossia l’innalzamento delle spallette nel tratto del centro storico e l’abbassamento delle platee di Ponte Vecchio e Ponte Santa Trinita. Che possono certo limitare l’altezza dell’onda di piena nel centro storico di Firenze, ma riversandola velocemente a valle, aumentando il pericolo dalle Cascine in poi. Per il resto siamo ancora fermi. La diga di Bilancino è indispensabile per garantire acqua potabile, ma è stata costruita troppo in alto e prende solo pochi affluenti della vorticosa Sieve. Sono state progettate, e in parte già in costruzione, le casse d’espansione del Valdarno superiore, fra Figline e Reggello, (ossia Prulli, Pizziconi, Restone, Leccio) ma non saranno pronte prima del 2025-2026. E comunque riusciranno a limare solo del 10% l’onda di piena. Che nel 1966 fu calcolata in 4100 metri cubi al secondo. Si parla da anni anche d’innalzare la diga di Levane, ma… se ne parla e basta. A valle di Firenze, si lavora alle casse d’espansione dei Renai (Signa) e di Fibbiana (Empoli). Mentre è in funzione da 3 anni quella di Roffia (San Miniato) che ebbe il battesimo della piena dell’Arno del 17 novembre 2019. E c’è, a protezione di Pisa, lo Scolmatore di Pontedera, ideato addirittura da Leonardo Da Vinci. Uno scudo efficace, certo. Ma va tenuto pulito, altrimenti la sua efficacia si riduce di parecchio.

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CITTA’ VETRINA – Il problema? Lo scritto migliaia di volte, negli articoli su La Nazione (per 40 anni), su Firenze Post (negli ultimi 8 anni) e in due libri Caro Arno (1986) e L’Arno che verrà (2006): l’Arno è bizzarro e pericoloso perchè non è un fiume, ma un torrente con sfrenate ambizioni di fiume. Prende acqua da una sola montagna: quando piove sul Pratomagno si gonfia, quando non piove si secca. Firenze e due terzi della Toscana sono minacciate e indondate, periodicamente, dal 4 novembre 1177, data della prima alluvione storicamente accertata. Da allora ne sono state calcolate fra 70 e 80 in oltre otto secoli. Gli sforzi, terorici, per renmdere più masueto l’Arno non sono mancati. Dal 1966 in poi sono stati fatti tre grandi studi per cercare di metterlo in sicurezza: il primo affidato agli ingegneri idraulici De Marchi e Supino, qualche anno dopo l’alluvione di Firenze. Il secondo lo fece fare la Regione Toscana, attraverso il Progetto Pilota per l’Arno. Il terzo, infine, è il Piano di bacino firmato nel 1999 dal professor Raffaello Nardi. Tutti e tre gli studi indicano, con varie differenze, nuove dighe e casse d’espansione. Ma sono sempre stati giudicati troppo costosi. E quindi accantonati. Ma nella classifica dei grandi rischi della Protezione civile, una nuova alluvione dell’Arno è indicata come la seconda calamità naturale nazionale devastante. La prima è un’eruzione del Vesuvio. Chiudo con la domanda rivolta ai politici e amministratori centinaia di volte: vale la pena investire alcune centinaia di milioni di euro per mettere al riparo davvero Firenze e la Toscana anche dalle micidiali bombe d’acqua? Oppure si lasciano in balìa del fiume due città vetrina come Firenze e Pisa, scrigni di arte cultura come poche al mondo, e una regione fra le più abitate e produttive del Paese? Altro che Greta: io mi sono sempre sentito rispondere solo con dei bla, bla, bla.

Sandro Bennucci

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