Morte Martina Rossi: Cassazione conferma condanne Albertoni e Vanneschi, ricorsi inammissibili

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterPrint this pageEmail this to someone

La quarta sezione penale della Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Firenze che il 28 aprile scorso ha condannato a 3 anni Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi per tentata violenza sessuale su Martina Rossi. La giovane studentessa genovese morì il 3 agosto 2011 precipitando dal sesto piano di un albergo a Palma di Maiorca, dove era in vacanza con le amiche. I loro ricorsi sono stati dichiarati inammissibili dalla Cassazione.

«Non ci deve essere più nessuno che possa permettere di far del male a una donna e passarla liscia. Ora posso dire a Martina che il suo papà è triste perché lei non c’è più, ma anche soddisfatto perché il nostro paese è riuscito a fare giustizia». Lo ha detto Bruno Rossi, dopo la sentenza per la morte della figlia Martina.

Martina è morta in conseguenza di un tentativo di stupro, non esiste un’altra verità. Ora la Spagna chieda scusa per come archiviarono dopo tre ore e affittarono la camera: questo il commento dopo la sentenza dell’avvocato Luca Fanfani, uno dei due legali della famiglia di Martina Rossi.

Alcune attiviste di ‘non una di meno’ si sono radunate oggi davanti al palazzo di Giustizia di Firenze, in concomitanza col processo che si stava tenendo in Cassazione a Roma per la morte di Martina Rossi, la 20enne che perse la vita precipitando dal balcone di un hotel a Palma di Maiorca (Spagna) il 3 agosto del 2011.

Le manifestanti hanno esposto uno striscione con la scritta Non è un caso isolato, si chiama patriarcato. Martina Rossi non è un caso isolato – ha ribadito una delle attiviste – noi siamo qui perché ci occupiamo di violenza di genere e di questo si è trattato.

Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi vennero condannati nell’appello bis a Firenze, il 28 aprile scorso, a 3 anni per tentata violenza sessuale di gruppo. Martina aveva 20 anni quando morì il 3 agosto 2011 Palma di Maiorca, dove era in vacanza. La vicenda processuale è stata lunga. Quello di Martina Rossi non fu un suicidio ma il tentativo di fuggire a una violenza di gruppo, come stabilito dalla Corte d’appello di Firenze, aveva detto in requisitoria la pg di Cassazione Elisabetta Ceniccola. La requisitoria si è soffermata in particolare sulla qualificazione del reato, 609 octies, violenza sessuale di gruppo e non in concorso, dalla quale dipendono anche i termini di prescrizione (quello di morte per conseguenza di altro reato è già prescritto ed è uscita dal processo), termini imminenti di cui la sentenza definitiva di condanna ha scongiurato il decorso.

Per la pg è giusta la ricostruzione che vede la compresenza dei due imputati nella stanza d’albergo di Palma di Maiorca, che ha influito negativamente sulla reazione di Martina, che si è sentita a maggior ragione in uno stato di soggezione e impossibilitata a difendersi. Motivo per cui la ragazza avrebbe scelto una via di fuga più difficile, che la metteva in pericolo, e non di uscire dalla porta: quindi scavalca la balaustra per salvarsi non si getta con intento suicidiario. Inoltre Ceniccola ha ricordato che Martina non aveva i pantaloncini, che indossava, e non sono più stati ritrovati. Per la Corte d’appello – ha sottolineato – era illogico che la ragazza girasse in albergo senza pantaloncini e senza ciabatte. Altri elementi evidenziati dalla pg sono alcune lesioni sul corpo di Martina oltre a quelle riconducibili alla caduta dal terrazzo e i graffi di Albertoni, uno dei due imputati.

Leggi anche:   Strage di Mosca: Cremlino non commenta le torture ai terroristi. Medvedev: "Uccidiamoli tutti"

Calendario Tweet

marzo 2024
L M M G V S D
« Feb    
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
25262728293031