Pil al 6% aiuta i conti. Ma lavoro, pensioni e fisco sono nodi da sciogliere in manovra

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Non c’è bisogno di essere un economista di quelli che vanno a pontificare in tv per intercettare due segnali assai positivi: 1) alla fine dell’anno il Pil nazionale centrerà l’obiettivo del 6%, superando di un punto e mezzo il 4,5% programmato in aprile. 2) Il deficit è ridotto grazie alle spese anti-covid, più contenute di quanto messo a bilancio, fino a produrre un risparmio in torno al 10% e un debito che dovrebbe tenere rispetto allo scorso anno, anche se a luglio ha segnato l’ennesimo record a 2.725,9 miliardi. Ma la corsa del Pil dovrà soprattutto aiutare i conti pubblici, con nuove previsioni in riduzione anche per i prossimi anni, hanno già messo in chiaro il premier, Mario Draghi, e il ministro dell’Economia Daniele Franco, che si preparano a fronteggiare gli appetiti dei partiti

FISCO – La partita della manovra si giocherà nelle prossime settimane e incrocia anche la riforma del fisco: la legge delega è in dirittura di arrivo e dopo uno stop questa settimana dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri la prossima. Il grosso dei fondi servirà dal 2023, quando si punta ad avere chiuso l’iter con i decreti attuativi, ma subito ci sarà da decidere come utilizzare i 2,3 miliardi già a bilancio proprio per il taglio delle tasse. Le idee non mancano, dall’Irap al cuneo fiscale, ma una decisione ancora non c’è. Così come ancora non si è deciso se accompagnare la manovra con il classico decreto fiscale nel quale potrebbero entrare nuove misure di lotta all’evasione e una estensione della fattura elettronica. Da vedere se riuscirà a trovare posto anche la richiesta, votata da tutto il Parlamento, di un nuovo intervento sulle cartelle, sfruttando proprio gli spazi che aprono nel 2021 grazie alla sorpresa del Pil.

CIG – Le richieste che stanno piovendo sul tavolo di Mario Draghi e del ministro Franco sono le più disparate. E’ vero che per la messa a punto della legge di Bilancio c’è ancora un mese, ma già con la Nadef si avrà un primo quadro delle risorse a disposizione, che saranno molto ridimensionate rispetto alle manovre monstre messe in campo per l’emergenza. La lista dei desiderata, però, è già molto lunga e cambia a seconda del partito di maggioranza interpellato. Alcuni punti, come la proroga al 2023 del Superbonus 110%, trova tutte le forze di maggioranza d’accordo ma su reddito di cittadinanza, fisco e pensioni le distanze sono siderali. Il primo impegno che andrà onorato con la manovra – oltre a circa 2 miliardi di spese indifferibili – sarà il finanziamento della riforma degli ammortizzatori. Sul tavolo c’è un miliardo e mezzo dal congelamento del Cashback (che potrebbe definitivamente essere superato) ma serviranno almeno altri 3-4 miliardi per disegnare la nuova Cig per tutti, almeno nella fase di transizione.

REDDITO DI CITTADINANZA – Intanto diciamo che, collegata alla riforma degli ammortizzatori, c’è un altro nodo difficile da sciogliere: del Reddito di cittadinanza. Preso di mira dal centrodestra e da Italia Viva di Renzi, che ha lanciato perfino un referendum per abolirlo. Ma difeso a spada tratta dal Movimento 5 Stelle, ultimo baluardo di un risultato elettorale che sembra ormai storia d’altri tempi. La mediazione potrebbe essere cercata in alcuni ritocchi, intanto per rendere più equa la misura per famiglie numerose e stranieri (l’ipotesi è di abbassare il requisito della residenza in Italia da 10 a 5 anni). Si studia poi come rendere più stringenti gli obblighi per i beneficiari nella ricerca del lavoro, che potrebbero essere affiancati da obblighi di formazione. Il pacchetto del welfare si completerebbe con gli interventi per mitigare la fine di Quota 100. Anche qui le ricette dei partiti sono diverse, per Pd e Leu bisogna ampliare la platea dell’Ape sociale e garantire donne e giovani dalle carriere più discontinue. La Lega chiede invece la riconferma dell’anticipo per la pensione con 62 anni di età e 38 di contributi o almeno la creazione di un fondo che accompagni altre misure, come gli ammortizzatori o i contratti di espansione, anche per sostenere le ristrutturazioni delle imprese. Per il fondo servirebbero circa 2 miliardi e mezzo in tre anni (circa 400 milioni solo nel 2022). Draghi e Franco hanno preso appunti. Non dicendo no a nessuno. Ma alla fine decideranno senza farsi condizionare.

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Sandro Bennucci

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