Enrico Letta sulla poltrona difficile del Pd. Nove segretari silurati in 14 anni

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La prima dichiarazione forte di Enrico Letta – pisano, nipote del Gianni Letta già braccio destro di Berlusconi – appena eletto segretario è stato l’auspicio che si faccia lo ius soli. Un’uscita che ha provocato subito sconcerto non solo negli occasionali compagni di viaggio al governo (in particilare Salvini e Forza Italia), ma anche in una frangia del partito, che si aspettava probabilmente un avvio più mirato alla soluzione dei problemi urgenti: pandemia e lavoro su tutti. Ma forse il buon Enrico, che ho avuto modo di conoscere in Toscana ai tempi in cui militava nella Margherita, appena sbarcato dall’esilio di Parigi, ha creduto di vellicare lo spirito di un partito profondamente cambiato, senza tener conto della realtà: quella di un Paese alle prese con un virus che ha falciato vite umane e attività produttive. Un Paese da ricostruire. E c’è la sensazione, sottolineo, che non abbia compreso il messaggio di Zingaretti: che ha lasciato la segreteria disgustato dalle uniche preoccupazioni di chi gli stava intorno: poltrone e primarie. Il potere per il potere.

POTERE – Eletto con votazione bulgara in Assemblea, da capi area (ora le correnti si chiamano così) che avevano solo l’obiettivo di darsi un nuovo capo, pena la disgregazione del partito, Letta dovrà studiare il problema nel quale si è ficcato. Cominciando a chiedersi perchè, in 14 anni di vita (data di nascita il 14 ottobre 2007), il Pd ha cambiato ben nove segretari (di cui uno bis, Matteo Renzi) e tre reggenti. Dovendo registrare, al contempo, una serratissima, e quasi mai fortunata, serie di elezioni politiche, cambi di governo, dimissioni, abbandoni. Enrico Letta, di matrice democristiana, approdato al Pd con gli ex Dc della Margherita, deve fare i conti con le smanie di un partito che ha smarrito il sapore delle battaglie operaie dei tempi del Pci, e che, invece, manifesta spesso una smodata voglia di potere. Comunque e ovunque.

ELETTORI – Forse gli servirà prima di tutto andare fra la gente, fra gli elettori, a Roma e dappertutto, per capire che gli italiani hanno bisogni concreti, come nel dopoguerra, e probabilmente dovrà andare a rileggersi un po’ di storie dei suoi predecessori, lì al Nazareno. Senza tirare in ballo i segretari ante Pd, tipo gli Occhetto e i D’Alema, ma solo prendendo in esame i segretari del Pd, troverà che molti sono scappati, non solo dalla poltrona pià alta della segreteria, ma dallo stesso partito. Per aiutarlo a capire, faccio un breve riassunto delle storie di segretari e reggenti.

WALTER VELTRONI: 27 ottobre 2007 E’ il primo segretario del Partito Democratico. L’allora sindaco di Roma vinse con il 76% delle preferenze le primarie contro Rosy Bindi, Enrico Letta, Mario Adinolfi, Pier Giorgio Gawronski e Jacopo Schettini. Come Letta fino allo scioglimento della riserva dei giorni scorsi, è rimasto vicino ai dem, ma cambiando mestiere, cioè dedicandosi a scrivere libri e a fare l’opinionista nei giornali.

DARIO FRANCESCHINI: 21 febbraio 2009. L’attuale ministro della Cultura si contende con Arturo Parisi la successione di Veltroni e vince con 1047 preferenze dell’Assemblea. Durante la sua segreteria nasce il gruppo dei Socialisti e Democratici Europei. Quindi cominciano le fuoriuscite.

PIER LUIGI BERSANI: 7 novembre 2009. Eletto alle primarie batte Ignazio Marino e l’uscente Franceschini. Nel 2012 si candida e vince le primarie contro l’allora sindaco di Firenze Matteo Renzi (giunto al ballottaggio), Nichi Vendola, Laura Puppato e Bruno Tabacci. Durante la sua segreteria riceve un incarico esplorativo per formare un nuovo governo, senza successo. Quando cadono, una dopo l’altra, le candidature al Quirinale di Franco Marini e Romano Prodi, si dimette. Fonderà Articolo 1.

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GUGLIELMO EPIFANI: 11 maggio 2013. E’ il primo reggente del Pd e dura in carica sette mesi. L’assemblea lo elegge con 458 voti su 534. Passato il testimone a Renzi – vincitore delle primarie – aderirà poi ad Articolo 1.

MATTEO RENZI I: 15 dicembre 2013 E’ segretario grazie al 67,5% ottenuto alle primarie battendo Gianni Cuperlo e Giuseppe Civati. E’ la segreteria dello strappo con Letta. A febbraio 2014 riceverà l’incarico di formare il nuovo esecutivo. Nel 2016 la sconfitta al referendum porta alle sue dimissioni da presidente del Consiglio.

MATTEO ORFINI: 19 febbraio 2017. Secondo reggente di una segreteria lampo: meno di tre mesi. Era presidente del partito e commissario straordinario del Pd romano. Lascia alla rielezione di Renzi.

MATTEO RENZI II: 7 maggio 2017 E’ l’unico bis della storia del partito e lo ottiene vincendo le primarie (con il 69,2% dei voti) contro Andrea Orlando e Michele Emiliano. Poco meno di un anno dopo arrivano le dimissioni, questa volta definitive. Dopo aver favorito, non più da segretario, la nascita del Conte bis, il governo giallorosso, con il Pd alleato del M5S per evitare le elezioni, decide di fondare Italia Viva. E divide la sua storia da quella del partito.

MAURIZIO MARTINA: 12 marzo 2018. E’ l’unico a rivestire, in sequenza, gli incarichi di reggente e segretario. Il primo – essendo il vice – subito dopo l’addio di Renzi. Il secondo con l’investitura, il 7 luglio 2018, da parte dell’Assemblea.

NICOLA ZINGARETTI: 17 marzo 2019. Vince le primarie e, con il 66% dei voti, sconfigge Maurizio Martina e Roberto Giachetti. Lascia pochi giorni fa vergognandosi di un partito troppo concentrato sulle poltrone e non sulle necessità del Paese.

ENRICO LETTA: 14 marzo 2021. Eletto dall’Assemblea nazionale con 860 voti favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti, dopo aver detto che al Pd non serve un nuovo segretario ma un nuovo partito, dovrà cominciare a orientarsi nel nuovo incarico. Prima delle battaglie ideali, dei proclami e dell’annuncio di prossima vittoria alle elezioni politiche, Enrico Letta farà bene a capire gli umori della gente, degli elettori. Guardandosi da chi lo incensa. Tenendo conto che il «tiro al segretario» è stato lo sport preferito nei 14 anni di vita dei Dem.

Sandro Bennucci

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