In Italia il 28% delle PMI del settore agroalimentare vede la sostenibilità come strategia per un vantaggio competitivo.

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AGIPRESS – Recenti studi evidenziano che attualmente l’agroalimentare “made in Italy” nel mondo è in crescita e vale 41 miliardi di euro; mentre secondo una ricerca, nel 2050, quando la popolazione mondiale passerà dagli attuali 7 miliardi agli 8-10 miliardi, 1 consumatore su 10 nel mondo mangerà cibo italiano. Dati che sicuramente fanno ben sperare in merito alle potenzialità del settore negli anni a venire. Questo è quanto emerso dalla IX edizione del Seminario “Food, Wine & Co. – Verso la Sostenibilità”, appena conclusosi. Un evento ideato e organizzato dalla Prof.ssa Simonetta Pattuglia e dal Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media di Roma Tor Vergata – del quale la Prof.ssa Pattuglia è Direttore – in collaborazione con Fiera Roma e Coldiretti. Una due giorni nella quale speaker d’eccezione hanno avuto modo di raccontare la loro visione, presente e futura, del settore agro-industriale ed eno-gastronomico.

SOSTENIBILITA’ – Un concetto che sta entrando con sempre maggiore forza nelle logiche di comunicazione e produzione delle aziende e sta divenendo un determinante fattore di scelta anche per i consumatori, trasformandosi in un vero e proprio trend. A riguardo, una recente ricerca ha dimostrato che l’attenzione dei consumatori italiani si sta muovendo verso tre principali direttrici: la riduzione degli sprechi alimentari (ogni anno gli italiani gettano nel cestino circa 36 kg di prodotti alimentari), la riduzione dell’impatto del packaging sull’ambiente, e infine una maggiore attenzione verso qualità e provenienza dei prodotti oltre all’impatto sociale e ambientale del ciclo di produzione degli stessi. Un valore aggiunto, quello dell’essere un prodotto sostenibile che, insieme all’essere ecologico, pesa, per il 28% nella scelta d’acquisto.

PMI italiane e Green Marketing – Se quello della sostenibilità per il consumatore è un elemento di scelta, per le PMI si sta lentamente trasformando dall’essere una pratica virtuosa al divenire una pratica necessaria, nel medio-lungo termine, per garantirsi la sopravvivenza e la competitività nel settore. Una lenta transizione che consta di quattro fasi distinte, come evidenzia uno studio relativo al “Green Marketing” delle PMI italiane, effettuato dalla Prof.ssa Pattuglia e dal suo gruppo di ricerca e presentato proprio in occasione dell’evento. La ricerca ha analizzato un campione di 46 aziende italiane, 39 aderenti alla Global Reporting Initiative e 7 alla UNIC, utilizzando un questionario per indagare la cosiddetta “sostenibilità olistica”: ovvero la quota del fatturato che ognuna di esse investe in “sostenibilità” e le loro azioni di “green marketing”. L’istantanea che ne deriva, vede il 35% del campione essere “Green Dogs”, ovvero realtà che vivono la fase della “negazione”, per le quali il concetto di sostenibilità non esiste. Il 7% vivono invece una fase di “tolleranza”: sono i “Green Question Mark”, aziende che investono in sostenibilità perché obbligate, ma non la vedono come opportunità di crescita. Sono invece “Green Cows” il 30% delle aziende analizzate: realtà che vivono la fase della “comunicazione”, ovvero che si stanno attivando per comunicare il proprio impegno in tal senso, cercando una maggiore visibilità all’interno dello scenario competitivo ma che, fattivamente, effettuano scarsi investimenti in sostenibilità. Le PMI “Green Stars” sono invece il 28%: vivono la fase della “sostenibilità vissuta”, nella quale questa è considerata una strategia di lungo periodo, che conduce ad un vantaggio competitivo. Si tratta delle realtà già proiettate nel futuro.

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