Conte fa il golpista? No, l’elefante in cristalleria. Con i giornalisti imbavagliati

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Il divieto che, nelle ultime ore, fa insorgere molti sindaci e arriva a far storcere la bocca ad alcuni prefetti, è la dimostrazione che questo governo non conosce la realtà del Paese e non ha l’esperienza per far fronte a un flagello come il coronavirus. Mi riferisco al divieto di uscire dal comune di residenza: misura mirata, forse, a bloccare le migrazioni da nord a sud, ma che alla fine si ritorce contro la padrona del gatto che vorrebbe andare a comprare i croccantini nel negozio di animali nel comune vicino. Perchè nel suo quella botteghina specializzata non c’è. Idem per chi andrebbe al supermercato e si ritrova, per un divieto assurdo, a provocare ressa e rissa nell’unico alimentari sotto casa.

Vedete, quando si prende un provvedimento che vale dalle Alpi alla Sicilia, cioè da applicare in situazioni variegatissime, bisogna pensare alle conseguenze. Capisco la necessità di combattere il morbo, ma gli stessi risultati si possono ottenere rispettando regole sancite dalla Costituzione. Non dico che il governo abbia smanie dittatoriali, affermo però che dà l’impessione di essere l’elefante in cristalleria. Più chiaramente: non può permettersi maniere forti che manifestano tutta la sua debolezza.

Fingete per qualche istante di non essere in Italia e di guardare il Paese da fuori: abbiamo l’Esercito per le strade, il Parlamento chiuso (in settimana pare riapra, ma chiedo perchè non sia rimasto in seduta permanente vista la situazione), la comunicazione istituzionale a senso unico. Le apparizioni notturne del presidente del consiglio, Giuseppe Conte, a reti unificate, hanno scatenato l’ironia dei commentatori e dei vignettisti: l’uomo solo al comando che propone e dispone. Io mi permetto di osservare, molto più semplicemente, che coloro che hanno responsabilità di governo, a tutti i livelli, devono sentire il dovere di rispondere alle domande dei giornalisti, perché i cittadini hanno il diritto di conoscere. La sospensione temporanea di diritti e libertà democratiche in nome del bene supremo della salute non può giustificare in alcun modo la cancellazione del diritto di cronaca e della libertà di espressione. L’articolo 21 della
Costituzione è pienamente in vigore, al contrario di quel che pensano cattivi consiglieri e improvvisati spin doctor.

Le reti unificate senza domande e risposte vanno bene una volta l’anno, nel messaggio del Presidente della Repubblica. Non possono essere la regola, con apparizioni improvvise, quando l’Italia chiusa in casa sta per andare a letto, in uno dei momenti più drammatici dalla fine della seconda guerra mondiale. Questo esecutivo e il suo presidente del consiglio si sono trovati a gestire un’emergenza vera senza esperienza di governo: è come se giocassero una partita privi di allenamento. Corrono dietro al pallone a caso. Altrimenti, anche nei provvedimenti drastici, non sarebbero andati per tentativi: si chiude un pezzettino, si fa un divieto, poi un altro e un altro. E ancora: si fa una bozza di decreto per chiudere la Lombardia e 14 province e ci si meraviglia che quella bozza, subito scappata di mano a chi l’aveva scritta, scateni la grande fuga da nord a sud e le code disumane nei supermercati.

La comunicazione, in questa emergenza, è stata giustamente elevata al rango di settore fondamentale nella guerra al coronavirus, dopo la sanità e la protezione civile. Ma bisogna usarla bene, la
comunicazione. Non ci si improvvisa comunicatori senza rischiare disastri. Le semplici domande dei giornalisti servono per chiarire, approfondire, interpretare. Vietarle e recitare a soggetto significa compiere una forzatura capace di autocolpirsi, come degli incapaci lanciatori di boomerang. La speranza? Che il Parlamento torni a riunirsi; che Conte non si affidi più agli improvvisati spin doctor; che i provvedimenti vengano soppesati con i consigli di chi ha esperienza. E che la padrona del gatto possa comprare, nel comune vicino, la scatoletta per la sua creatura.

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Sandro Bennucci

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