Coronavirus: arriva il decreto chiudi tutto. Italia più in quarantena. Ma anche più in coda e a rischio

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La chiamano stretta finale per l’emergenza coronavirus: significa che, appena il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, apparirà di nuovo in televisione, probabilmente scatterà il divieto di andare a correre nei parchi e anche sui marciapiedi; non mancherà una nuova e decisiva riduzione ai trasporti pubblici; si verificherà un’altra spinta alle aziende per indurle a ricorrere al telelavoro; i negozi di alimentari e i supermercati dovranno ridurre l’orario di apertura. Con la conseguenza di avere code ancora più lunghe nelle finestre di apertura, con il rischio di ressa e rissa e di aumento dei rischi del contagio. Italia più chiusa, più segregata, più in quarantena. E più arrabbiata: anche contro il governo, oltre che contro l’invisibile virus.

Dovrebbe succedere più o meno tutto questo prima che il nuovo decreto «strizza Italia» venga pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
L’esecutivo è convocato per stasera, venerdì 20 marzo. A mercati chiusi: sia quelli finanziari, sia quelli dove si compra da mangiare. Per evitare, dicono, il balzo dello spread e quello sui carrelli per amdare a prendere quel che è rimasto sugli scaffali. Ma è facilissimo immaginare che l’ennesimo, e devastante, calo della borsa si materializzerà lo stesso. E la gente, fin dalla mattinata, darà l’assalto al supermercato. Perchè il decreto chiuditutto è come il segreto di Pulcinella: lo conoscono tutti.

Così come tutti sapevano che sarebbero state chiuse le scuole prima che la ministra desse la notizia. E così come una folla di migliaia e migliaia di persone corse alla stazione di Milano quando venne pubblicata la bozza di decreto che chiudeva la Lombardia e 14 province. Ed era già conosciuta anche la scelta di Conte quando trasformò, circa dieci giorni fa, tutta l’Italia in zona rossa. Che cosa voglio rimarcare? Semplice: che il governo non sa comunicare. Cosa gravissima perchè la comunicazione, insieme alla sanità e alla protezione civile, è uno dei cardini sui quali poggia la lotta contro il coronavirus. Comunicare bene è fondamentale per evitare la psicosi. Basta non far trapelare nulla e fare l’annuncio. Facile no?

E’ vero che nemico così implacabile e subdolo come il coronavirus non si era mai visto, ma è altrettanto vero che nemmeno un governo così improvvisato e senza la minima esperienza di un’emergenza lo si era mai visto. Il problema di far accettare dagli italiani un’altra stretta esiste. Tutti sono psicologicamente provati. Ed economicamente spaventati. E’ come se si fosse in mezzo al mare e non si vedesse terra. Non siamo cinesi: non ne abbiamo l’indole a ubbidir tacendo e nemmeno abbiamo la potenza economica della Cina. Che fare allora? Tentare almeno di programmare il futuro. In grande. Inventandosi qualcosa di molto più convincente dei 25 miliardi, che scompaiono di fronte ai 550 della Germania e ai 200 della Spagna, che poi non è messa molto meglio di noi. Bisogna che il governo comprenda che non siamo in guerra solo a parole, o come slogan. Dovrebbe cominciare a parlare di ricostruyzione, di rilancio straordinario del sistema Italia nei prossimi mesi. A cominciare da un gigantesco piano per le infrastrutture. Che sarebbe un fantastico volano per tutto il resto. Solo programmando, da subito, investimenti mai visti negli ultimi 50 anni, e assicurando quindi lavoro e sviluppo si può pensare di far accettare a questo Paese il prossimo decreto «strizza Italia». Il problema? Al governo c’è ancora un Movimento 5 Stelle che ha sempre detestato sviluppo e cantieri. Qui sta il problema. I cittadini dovrebbero essere rassicurati con uno scenario eccitante. Far vedere il dopo coronavirus, come il dopoguerra culminato con il boom anni Sessanta. Ma il governo che non sa comunicare, dubito che sappia pensare in grande. E questo mi spaventa per le eventuali reazioni scomposte, le nuove e la nuova ressa. Che chiaramente finirebbe per alimentare i rischi di contagio.

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Sandro Bennucci

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